La curiosa preparazione alla maratona di Joe Strummer dei Clash

Il leader della storica band inglese corse nel 1982 la maratona di Parigi. E non fu l’unica, a dirla tutta

Era il 1982 e quell’anno i Clash non stavano passando un buon periodo: c’era il nuovo album Combat Rock in uscita, si diceva che i biglietti per il tour in Scozia non stessero vendendo bene e i rapporti fra i membri della band erano così tesi che durante le prove non si rivolgevano la parola.
Fu in quel frangente che Joe Strummer decise che era arrivato il momento perfetto: per sparire.

Per molto tempo nessuno seppe dove fosse andato. Con lui scomparve anche la fidanzata Gaby Salter, assieme al silenzio con cui se n’era andato: non un recapito, non un biglietto, non una telefonata al loro manager Bernard Rhodes. La situazione era del resto insostenibile: il chitarrista Mick Jones aveva rapporti tesi con tutta la band e il batterista Topper Headon era alle prese con la dipendenza da eroina.
Fu allora che il manager Bernard Rhodes capì che tutto stava per degenerare e disse a Strummer di prendersi una pausa e di capire cosa voleva fare, almeno lui. Di certo non pensava che l’avrebbe preso talmente in parola da dileguarsi senza lasciare tracce. “Non ci pensai molto – raccontò poi Strummer – me ne andai a Parigi sapendo che molti ci sarebbero restati male ma lo dovevo fare”.

Quello che accadde nella capitale francese sembra la sceneggiatura di un film bohémienne, ma con una conclusione inaspettata.
Joe e la fidanzata Gaby arrivarono a Parigi e persero i passaporti. In città non conoscevano nessuno se non un’amica della figlia di Gaby che aveva un piccolo appartamento a Montmartre dove si sistemarono per tutto il soggiorno. “Vieni a trovarmi – disse la padrona di casa a Richard Schroeder, un suo amico fotografo – ho una sorpresa per te”. Lui arrivò e si trovò davanti Joe Strummer e la fidanzata. Avevano la stessa età, lui amava la sua musica: passarono le successive tre settimane sempre insieme, mangiando, parlando e soprattutto bevendo. Moltissimo e in moltissimi bar, fino a una decina a notte. Joe era a suo agio e rilassato: nonostante i Clash fossero molto famosi in Francia, il fatto che si fosse fatto crescere la barba lo rendeva meno riconoscibile. Forse era finalmente riuscito a scappare dal suo personaggio pubblico più che dai casini della band.

A un certo punto si diffusero le voci del suo suicidio tanto da costringerlo – lui, che odiava telefonare – a chiamare il responsabile della stampa della sua casa discografica dicendogli che andava tutto bene, che aveva avuto solo bisogno di andarsene per un po’, aggiungendo che non era per sempre, che sarebbe tornato. Quando, nessuno lo sapeva, ma almeno era vivo.

Imparare il francese

Uno degli ultimi giorni a Parigi Richard Schroeder lo raggiunse in un bar. Joe stava leggendo un giornale francese. Voleva imparare la lingua, cosa che poi non fece mai. C’era la notizia dell’imminente maratona. “C’è la maratona domenica. Pensi che la possiamo fare?” chiese Joe. Richard rispose che non ne aveva idea, che non aveva mai fatto una cosa simile e che ci sarebbe stato bisogno almeno di iscriversi. “Ci presentiamo alla partenza e vediamo” disse Joe. “Non mi sembri in forma per correre una maratona” tentò timidamente di fargli osservare Richard. “Stare su un palco è una specie di sport”, tagliò corto Joe.

In realtà, come racconta Kit Buckler, Joe era un uomo in buona forma. Fra una sessione di registrazione e l’altra giocava a calcio a 5 e prima di Parigi aveva già corso una maratona, così come ne corse altre al suo ritorno in Inghilterra.

Poteva provarci, e lo fece.

La preparazione

Per arrivare pronto alla domenica della maratona Joe attuò un programma che lui stesso sconsigliava, ma visto che glielo chiedevano…
Un indizio sulle modalità di preparazione lo dà sempre l’amico Schroeder: “Non fece assolutamente niente, non si allenò. La sera prima era ubriaco fradicio”.

Quanto? A raccontarlo è lo stesso Joe: “Visto che lo volete sapere, ecco il mio allenamento: zero corsa, neanche un passo per le 4 settimane che precedono la gara e una decina di pinte di birra la sera prima. Non consiglio di fare lo stesso ma è così che faccio io”.

La domenica

Sulla linea di partenza Joe ci andò davvero, assieme alla fidanzata Gaby. Si fece prestare scarpe e abbigliamento e la corse, completandola in circa 3 ore e 20 minuti. All’arrivo lo aspettava Richard, vicino a un banchetto dove servivano ai concorrenti aranciata e zollette di zucchero. Joe lo abbracciò, esausto. L’amico gli chiese se voleva un po’ di succo d’arancia. “Voglio una sigaretta e una birra”, gli rispose Joe.
La sera immaginava che volesse riposarsi quindi non lo chiamò. Cosa che fece invece Joe, chiedendogli se voleva andare a bersi qualcosa. Lo fecero, fino all’esaurimento fisico del cantante che il giorno dopo non riusciva a muoversi e pareva avesse 90 anni.

Epilogo

Joe poteva pure essere diventato poco riconoscibile per molti francesi ma non sfuggì a un giornalista che per caso era a Parigi e che avvertì il promoter di un festival in cui i Clash avrebbero dovuto di lì a poco essere headliner. La “fuga”, o la pausa di anonimato di Joe era durata tre settimane. Quando ormai lui stesso aveva deciso di tornare venne mandato qualcuno dalla casa discografica a riportarlo in Inghilterra. Lui sembrò divertito dalla cosa e telefonò all’amico Schroeder e gli disse “Ehi, mi hanno trovato!” e rideva nel raccontarlo.

Lui e la fidanzata Gaby ricordarono poi con molto piacere quel periodo. Lei in particolare lo definì uno dei più felici della sua vita. Joe aveva bisogno di interrompere la monotonia alienante del lavoro creativo – ma anche ripetitivo – della band. Voleva smettere di sentirsi richiesto anche e soprattutto per cose che non lo interessavano. Voleva respirare al di fuori dello studio di registrazione, ormai un luogo di litigi e rancori.
Voleva sentirsi libero e ci riuscì. Ci piace credere che correre la maratona di Parigi non sia stato una parentesi incoerente di quel periodo ma, anzi, sia stato la sintesi perfetta: correre via da qualcosa per ritrovarsi.

(Credits immagine principale: British Culture Archive – Via Louder)

 

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2 Commenti

  1. Bella storia, ma rivedete il tempo della maratona, 3 ore e 20 per uno non allenato e che fa fatto pure una vita e dieta a cavolo è impossibile

    • Ciao Francesco, quello è il tempo che lui ha dichiarato (la sua versione della storia) ma l’amico che era ad aspettarlo al traguardo sostiene che avesse impiegato almeno un’ora in più. Aggiungiamo anche questa notizia, per amor di verità. Detto ciò, era Joe Strummer e per noi avrebbe potuto dire anche anche due ore che lo avremmo amato lo stesso (creduto magari no, ma amato sempre!).
      Grazie, M

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