The Barkley Marathons, una gara così non si era mai vista

È considerata la ultratrail più estrema al mondo. Pochi la corrono, pochissimi (a volte nessuno) la completano.

Potresti innanzitutto chiederti perché se si tratta di una singola gara la chiamano “Barkley MarathonS”, ma sarebbe solo una delle decine di domande che potresti porti man mano che capisci di cosa si parla quando si parla di Barkley Marathons.

Potrei invece parlarti della parola che più spesso viene ripetuta parlando di questa gara estrema, ed è “fallimento”: pochissimi la disputano (40 ogni anno) e una sola manciata la completano. In mezzo alle 60 ore di tempo massimo ci sono ritiri, feriti, crisi di nervi e giganteschi, colossali, atroci fallimenti.

Ma fallimento è anche la parola che meglio definisce qualsiasi articolo si possa scrivere su questa folle gara che si corre in Tennessee su un percorso trail variabile e molto elastico di 5 giri ripetuti alternatamente in senso orario e antiorario per un totale di 120 miglia. Perché “fallimento”? Perché in queste righe ti posso dire cos’è tecnicamente la Barkley Marathons ma il mito, la storia, il sudore e le lacrime, la fratellanza fra chi la corre, i rovi e le discese, le salite e la nebbia e la neve e la pioggia e il caldo atroce ecco, tutto questo meraviglioso e terrorizzante frullato di realtà e umanità e follia te lo racconta solo un premio Pulitzer e io non lo sono, no, non direi.

Oppure puoi vederti un’anteprima del meraviglioso documentario che puoi vedere su Netflix, e magari un’idea più chiara te la fai.

Sappi solo che iscriversi costa 1,60 dollari, che se ti lamenti per l’organizzazione minimalista (niente ristori, niente check-point, se ti ritiri fallo vicino a un percorso segnato perché non ti verrà mai a prendere nessuno in elicottero, totale autosufficienza, non sono ammessi GPS ma solo mappe cartacee) il mitico e sadico inventore della gara più pazza del mondo Gary “Lazarus Lake” Cantrell ti ride in faccia (“Cosa vuoi aspettarti con questa quota di iscrizione?”) e che davvero non esiste al mondo una gara del genere. Più dura, più atroce, più sadica e fuori di testa. Dove il percorso cambia ogni anno e non è tracciato ma ci sono solo dei libri da cui devi strappare la pagina corrispondente al tuo pettorale per dimostrare che ci sei passato, dove corri di giorno e notte e la strada che hai fatto al mattino è diversa al pomeriggio (perché è al contrario) ed è ancora diversa di notte perché semplicemente non hai più punti di riferimento. Dove tu sei di fronte ai tuoi limiti, sempre e dove corri solo assieme al tuo potenziale e molto probabile fallimento.

La Barkley Marathons è la gara dell’improbabilità e della follia: nata dopo che James Earl Ray, l’assassino di Martin Luther King, riuscì a scappare dal vicino carcere di massima sicurezza per poi essere catturato dopo 55 ore e dopo aver percorso solo 13 km nei boschi e dopo che Lazarus per provocazione disse che in quel tempo di miglia ne avrebbe fatte almeno 100, ha il gene della corsa più estrema e imprevedibile.

A partire proprio dal suo nome: perché si chiama così? Ce lo racconta un amico di Lazarus, che di cognome fa appunto Barkley:

Lazarus l’ha chiamata come me ma non ho la più pallida idea del perché gli abbia dato questo nome.

Se ami la follia, se ami chi va oltre, se ami l’imprevedibile, se credi che la vita sia qui e ora e fanculo il resto, la Barkley è la tua gara. Sappi solo che la procedura di iscrizione è segreta e che, se mai ce la facessi, riceverai una comunicazione che comincia con “Siamo spiacenti di informarti che sei stato ammesso alla Barkley Marathons”. Perché la Barkley è un po’ come la vita: non sai mai quello che ti può succedere ed è meglio che ti prepari a tutto.

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