Quei maledettissimi venti minuti

A volte non devi fare solo ciò che ti piace, ma ciò che ti fa star bene

5:33 del mattino. Suona la sveglia.
Ad essere sinceri non suona veramente perché sono già sveglia dalle 5:17 (grazie orologio biologico). Comunque sono nel letto, al buio e i primi pensieri che il mio cervello elabora assomigliano a: “dai Lucky, non andare a correre. Fa caldo, hai sonno, torna a dormire”.
Non so esattamente cosa mi faccia alzare dal letto (in realtà è tutto merito della mia minuscola vescica), ma riesco a trascinarmi in bagno. Dopo essermi lavata denti e viso, tutte le azioni successive sono quasi meccaniche: i due elastici per la treccia, la scelta dei pantaloncini e della maglietta con qualche scritta motivazionale della serie “you can do it”.
“No, non posso farcela” (è sempre il mio cervello a parlare). Scendo le scale, arrivo in cucina e bevo il caffè, l’unico vero amico al mattino.
Mentre aspetto che il nettare divino entri in circolo, mi siedo ad allacciarmi le scarpe e resto a fissarle a lungo quasi riuscissero a infondermi la voglia di vivere che no, al mattino non so davvero cosa sia.
“Hey Siri attiva bluetooth” sono le prime parole che escono dalla mia bocca ogni mattina; nessun “buongiorno amore”, preghiere a chissà quale entità celeste o frasi confuciane sul senso della vita e la felicità.
Dopo queste quattro parole, le uniche che pronuncerò per le prossime 2 ore, indosso cuffiette, cardiofrequenzimetro e mi dirigo verso la porta. “Sei ancora in tempo per tornare a letto, puoi andare avanti con le serie tv arretrate”. Il mio cervello ha attinto energia dalla caffeina e ora si impone con maggiore forza, ma io conosco il modo per contrastarlo: Walden.
Walden merita una presentazione speciale: è il nome della mia playlist e sì, deriva dall’omonimo libro di Henry David Thoreau che come si sarà intuito, è il mio preferito.
Una frase in particolare è diventata il mio “mantra”: I went to the woods because I wished to live deliberately, to front only the essential facts of life, and see if I could not learn what it had to teach, and not, when I came to die, discover that I had not lived.
Non so spiegarvi (e anche se lo sapessi, non lo farei) perché questa frase mi motivi così tanto ma, alle 5:49 di mattina, vestita per (fare finta di) correre, questa frase mi fa premere il pulsante “start. E così inizio a muovere a ritmo le gambe, lentamente, mi assesto e cerco disperatamente di svegliarmi mentre mi guardo attorno: le case sono ancora tutte chiuse e l’unico segno di vita mi viene dalla natura: unica e vera compagna nella corsa.
Per i primi 20 minuti guardo l’orologio un numero superiore alle 78 volte (le ho contate). Lo guardo continuamente non solo per controllare i battiti, ma perché confido sempre che il tempo passi molto più velocemente di quanto (ahimè) non accade.
Questi primi 20 minuti sono davvero tragici: il mio cervello, nonostante Walden, mi accusa di averlo svegliato, di averlo portato fuori controvoglia e mi chiede disperatamente di riportarlo a casa.
Dopo questi 20 minuti di agonia (lo ho già detto che i primi 20 minuti sono terribili?), magicamente qualcosa cambia e la negatività sembra opacizzarsi in favore di un pensiero semi-positivo: “dai Lucky, venti minuti sono andati, arriviamo a 34”.
Eccolo, il mio nuovo obiettivo: 34 minuti. “Beh, sono 14 in più di 20, però ne ho già fatti 20 quindi comunque sono già oltre la metà”. Ho sempre fatto schifo in matematica però vi giuro che il mio cervello non fa mai così tante somme, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni come durante la corsa mattutina.
Riempio questi 14 minuti abbastanza agilmente: organizzo la mia giornata lavorativa, i miei impegni e soprattutto, penso alla colazione gustosa che mi aspetta una volta finita questa faticata. Tra una canzone e un pensiero, i 34 minuti passano così come i 47 e i 54. Me ne rendo conto perché il mio orologio vibra informandomi della lieta notizia: “obiettivo raggiunto”.
Wahu, sono le 6:44 del mattino e io ho già raggiunto un obiettivo? Cioè davvero? Proprio io? Si è sentita così la Vergine Maria quando le hanno detto che era incinta?
Devo dirlo, questa cosa mi gasa un sacco e così, opacizzando ancora di più la negatività, corro ancora 7 minuti, per un totale di un’ora e un minuto (non mi piacciono le cifre tonte).
Rallento fino a fermarmi, inizio lo stretching ed è a questo punto che il mio corpo si sveglia: le gambe sono indolenzite, la maglietta è incollata al corpo (schifo), le goccioline di sudore dalla fronte mi scendono e ovviamente, grazie karma, mi finiscono negli occhi provocandomi un bruciore non molto simpatico (combo schifo).
Insomma, una tragedia. Ogni mattina.
Non sono una sportiva e tantomeno una runner (si era intuito, vero?). Non sono una di quelle persone che organizza corse di gruppo, che si allena per partecipare a una maratona o che inizia a scodinzolare e salivare stile cani di Pavlov nel sentire pronunciare il verbo “correre”. Ad essere onesta, direi piuttosto che il mio sentimento nei confronti della corsa è più simile al fastidio. Fastidio perché non riesco a trovare un’altra cosa che mi faccia stare così bene, fastidio perché se non vado a correre la mia giornata non inizia veramente, fastidio perché la corsa riesce a convertire la mia negatività in voglia di vivere, fastidio perché niente riesce a scaricarmi e a ricaricarmi nello stesso modo, fastidio perché in nessun altro momento corpo e mente sono così uniti, fastidio perché un’attività di un’ora e un minuto riesce a farmi stare bene per le dodici ore successive.
E ogni tanto, quando qualcuno spocchiosamente mi dice: “beh, ma se non ti piace correre, non farlo” io nella mia mente mi immagino Thoreau in mezzo ai boschi, che cammina sereno e mi viene naturale rispondere: “ogni tanto bisogna fare anche ciò che ci fa stare bene, non solo ciò che ci piace”.
Ecco, la corsa non mi piace, ma mi fa stare bene.

Lucrezia C. @_luckyland

(Photo credits Wil Steward)

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13 Commenti

  1. Ma che bella riflessione, davvero coinvolgente!
    Mi ci ritrovo pienamente, in effetti sono ora in un periodo in cui vince lui (il cervello, intendo…), credo però che anch’io farò come suggerito!
    Complimenti Lucrezia… e grazie!

    • Grazie mille!!
      Trovare il modo per metterlo a tacere, anche se per poco, aiuta sicuramente. Soprattutto se anche il tuo cervello è logorroico tanto quando il mio!

  2. Ho letto il tuo articolo è ho rivisto me stessa..mi ha divertito sapere che in fondo non sono l’unica con questi conflitti..che mi aspettano ad ogni risveglio in attesa della corsa mattutina…quando alle 5.40 il cervello si chiede..”ma perchè lo stai facendo??? devi andare a lavoro tra un pò..tra un pò si svegliano i figli carichi di amorevoli pretese..e invece quando torni..stanca sudata felice..davanti a te la giornata è cambiata ed ogni cosa riesci a vederla con occhi diversi..e allora ti ricordi perchè lo hai fatto..
    Grazie peri il tuo articolo..alla fine forse noi che corriamo siamo tutti un pò simili..

    • Grazie, mi fa molto piacere! Alla fine credo che sì, siamo tutti simili.
      Penso che la corsa sia un po’ come leggere: puoi farlo in una stanza piena di persone o in una deserta ma una cosa non cambia: è una cosa molto personale, in cui tutto dipende da te.

      • -Robi-
        certo è che se sei bella fuori quanto lo sei dentro…………….ti confido un segreto io il caffè non lo prendo,per il resto concordo, e ancora uno la corsa è più “Zen” ma anche il nuoto sempre la mattina presto ha il suo perchè. Il tuo paragone correre/leggere è perfetto! Conosci Murakami Haruki?

  3. Ciao condivido in pieno tutto quello che hai scritto, anche per me è cosìper le tre volte alla settimana che corro. Anche a me la cors ( forse) non piace da impazzire ma mi fa stare benissimo.

  4. Lucrezia, mi sveglio alla stessa ora per andare a correre (in genere in automatico un’ora prima della sveglia, per l’euforia che mi infonde la corsa).
    Leggere le tue parole sembrava rileggere i miei gesti.
    con poche differenze: non ascolto musica, pur essendo violinista (o forse perché lo sono, ne ho ascoltata troppo ed in negozio ho sempre la radio accesa).
    Cereali e frutta secca a posto del tuo sacrosanto caffè.
    E poi la strada che scorre sotto i piedi.
    Ed è vero che noi runners alla fine siamo tutti un po’ simili.
    Fatevi una risata: in negozio è entrato nei giorni scorsi un ragazzo svedese, chiaramente un runner per abbigliamento e struttura fisica.
    Al collo la mia macchina fotografica Canon 7d e lo stesso obiettivo Sigma con il quale viaggio.
    Siamo davvero una community!
    Buona corsa a tutti, quando passate per Capri, svegliatevi al solito orario: ci incontreremo di certo!

    • Sapere che ci sono altri che come me fanno le stesse cose però in altre parte d’Italia mi fa sentire meno sola, quindi grazie mille! :)

  5. Condivido pienamente tutto ciò che hai scritto! Mi pareva di leggere un pensiero autobiografico scritto da me! Mi piace che non sono l’unica che punta la sveglia prestissimo ( 5.21 ) ma che comunque non la lascia suonare perché la voglia o il dovere di correre mi butta giu dal letto già da prima! Ma chi ce lo fa fare? Un po invidio quelli a cui non gliene frega un bel niente e se ne stanno a letto fino all’ultimo secondo. Ma loro non sentono, non vivono, non vedono e non provano quello che proviamo noi prima durante e dopo la corsa… e questo basta a darmi una risposta per cui CORRO E BASTA!

    • Mi fa piacere l’aver condiviso un pensiero che si modella su cose tante personalità diverse; in definitiva penso di dover essere io a ringraziare voi che avete speso del tempo prezioso per leggermi e RunLovers che mi ha dato uno spazio per condividere.
      Esatto, non invidiarli, continua a correre :)

    • Già, concordo anch’io….io “corro” da circa 45 giorni ( l’ultima volta è stato nel ’92… ) GRAZIE AD UNA AMICA CHE MI HA “PORTATO FUORI” UN SABATO ALLE 06.30 … corro per me, senza cercare prestazioni da ironman, i miei 6 Km 2 o 3 volte a settimana ma nel mio caso l’unica differenza è la sveglia, che resta rigorosamente puntata alle 7.40 … il mio cervellino mi riempirebbe di insulti se lo svegliassi 2 ore prima per correre !!! Sono un animale notturno: corro sempre verso le 23.00, mi pare più comodo e rilassante

  6. Non corro tutti i giorni, tutt’altro. Da quando ho “scoperto” la corsa (ultimi 2 anni) sono soprattutto un runner stagionale (per ora di inverno gioco a calcio, ancora per poco). Non ho un orario prestabilito per correre, a volte capita la mattina (raramente), a volte il pomeriggio e altre volte all’ora di cena, ma ciò che non cambia mai è la sensazione di leggerezza mentale che mi accompagna al termine del mio percorso. Possono essere 10, 13, 15 km o anche di più (questa mattina sono stati 23) ma alla fine i dolori e la stanchezza sono niente a confronto di quello che sento…e sentiamo. Non ho una playlist, tutt’altro. Corro sempre da solo, tshirt, pantaloncini, scarpe, smartphone, chiave di casa e via. A volte pianifico il percorso, altre lo improvviso. Non voglio vincere le olimpiadi, ma mi pongo degli obiettivi (per me realistici) per cercare di migliorare. Tuttavia mi ritrovo pienamente in ciò che dici: a volte mi piace correre, altre volte no, in ogni caso mi fa stare bene.

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