I gamberi (e la corsa)

Ci siamo lasciati con un odiosissimo muffin vegano al cioccolato dove mancava il burro-latte-uova-tutto, atto imperdonabile da parte mia, sputacchiando molliche e sostenendo per certi versi ovvietà: che è solo questione di che numero senti di darti tu. È il valore che dai a te stesso il vero traguardo. Difficile ma raggiungibile.

Partiamo dal peso

Allo stesso modo, a mio personalissimo modo di vedere, si incappa nell’annosa faccenda del numero/peso corporeo. Ci sono tante belle tabelline ed App tutte organizzate con l’altezza, l’età e il sesso pronte a svelare l’arcano. Pure le macchinette dell’impedenziometria che ti fanno sembrare un novello Alex De Large in Arancia Meccanica  durante la terapia Ludovico oppure una batteria scarica di una macchina a cofano aperto, per farla meno interessante, come è del resto. È agghiacciante constatare però che per sentirsi davvero bene diventi tutto estremamente soggettivo. Non è mai il peso forma o quello ideale a determinare il grado di soddisfazione ma più la bilancia interna. Quella dell’anima, del cuore e del corpo stesso. Non si può calibrare, portare in assistenza o buttare nell’opportuno cestino da riciclo e prenderne una nuova. E’ inaccessibile e irraggiungibile. Occorrono percorsi e magheggi complicati per arrivarci e tararla in modo che quel concetto soggettivo di perfezione corporea sia contestualizzato a una realtà non troppo preoccupante. Voglio dire, io soffro di disturbi alimentari da quando ho 14 anni e mi piacerebbe dire che è passato poco più di un decennio ma la verità è esattamente che di tempo ne è trascorso il doppio. Non ho assolutamente paura di sostenerlo, ribadirlo e tranquillamente discuterne. Non perché sia un’egocentrica, lo sono ma per altri motivi, ma semplicemente perché da quando ho capito che i mostri si combattono alla luce e non al buio: hai più chance di sconfiggerli o perlomeno vederne bene i lineamenti, contorni e soprattutto debolezze. Chi corre lo fa anche per mangiare di più. Anche per sentirsi più in forma. Anche per sostenere che è superiore alla pigrizia. Anche per decine se non più di svariati motivi. Se oltre a tutti questi “anche” nasce poi il sacro amore viscerale e trascendentale per quello che davvero si sta compiendo, allora sì che la corsa diventa una religione. Da perseguire e onorare.

Però si comincia per: spararsi un bel panino in più e chi si è visto si è visto (nella stragrande maggioranza dei casi, me lo concedete? Perché non è che tutti siano atleti convinti dalla nascita).

Iniziamo a correre

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Correre ti regala tempo ed è questa la magia. Diventa una sorta di giratempo (se non hai letto Harry Potter mi arrabbio davvero!) capace di catapultarti in luoghi che conosci ma anche in altri sconosciuti,  dalle ambientazioni simili ad “Al di là dei sogni” (se non hai visto Robin Williams in Al di là dei sogni mi arrabbio ancora di più) con nuvole accecanti a contrasto mille e secchiate di colore che gli unicorni e gli arcobaleni di un videoclip anni ottanta sembrano sfumature di grigio (se non hai visto o letto questo ti becchi una fornitura annuale di paste di mandorle e il mio sempiterno “grazie di esistere e di lottare insieme a noi!”).

Correre crea scenografie e mondi, dove se hai la passione per la scrittura, giusto per dirne una, trovi i personaggi che hai immaginato. Ti vengono a cercare, ti inseguono e ti superano. Si perdono pure ma se rimangono prendono forza e carattere. Diventando storie e parallelismi di te stesso. Insegnano tanto gli incontri durante la corsa. Parti di te che non conoscevi e che guardi muoversi, affrontare e fronteggiare ostacoli. Una meditazione (trascendentale lo mettiamo?) a costo zero che se ti concedi ogni volta che puoi, e soprattutto vuoi, diventa terapeutica e a tratti mistica. Durante la corsa ci sono profonde riflessioni, ad esempio se la sera abbiamo voglia o no di polpette al sugo che rimane comunque un concetto profondo, che ti permettono di sentirti principalmente libero. Come quando nasci e muori. Si corre paralleli a un treno per salutare l’amore che va via, se vogliamo impostarla in un romantico film anni venti con tanto di nuvole grigie e carbone dal fumaiolo della locomotiva a vapore. Si corre su una spiaggia dove c’è un cuore disegnato con il bastoncino e due amanti che si abbracciano e rotolano come lottatori di sumo tra i granelli (anche se  a me piace sempre immaginare la scena della Pallottola Spuntata dove la coppia Presley-Nielsen ne travolge un’altra  e finiscono tutti ricoverati al reparto ortopedia). Si corre tutta la vita nei momenti più importanti come atto istintivo. Per fuggire ma anche per prendere. Ricordarselo è il momento esatto in cui il senso di onnipotenza che il tempo e il corpo li gestisci tu prende vita. E nasce la magia.

“Io non potrei mai correre…”

La scusa ufficiale è “Io non potrei mai correre. Perché morirei dopo tre passi”. È come dire che non vuoi vivere perché tanto sai che devi morire. Non è un semplice e mero sport correre. È un concetto tanto complicato quanto semplice. E per questo difficilmente assimilabile davvero. A centoquaranta chili non potevo fare otto chilometri in un’ora e neanche quattro. Vi assicuro a stento due a passeggiata (tempo? due ore). Con un fiatone che pareva un loop formato midi di Dart Vader. Guardavo papà e dicevo “No guarda io muoio. Non ce la posso fare”.

“No guarda amore muori se non ce la vuoi fare”.

Mi rivedo sudata, goffa, stanca, con tutti i rotolini che sballonzolavano (è più difficile scrivere sballonzolavano che correre. Prova e dimmi) e  poggiata  alle barre del tapis roulant guardando il mio doppio mento come fosse creme caramel. Mi ripetevo che era davvero assurdo pensare di poter correre.

Mi è rimasto questo feticismo, ancora. A distanza di sei anni ormai. Guardarmi il doppio mento che non c’è più. E quasi rivederlo per andare più forte ma anche più piano. In una danza di preoccupazione mista a soddisfazione che non ha ancora toccato quella lancetta della bilancia biologica capace di dirti: sono uno. Uno con me stessa. Sono davvero io. Sono prima di tutto. Più di tutto. Eppure ci sono momenti in cui mi avvicino e mi sento guarita. Mi passo la mano dove i rotolini non sballonzolano più se non nel cuore. E continuo a correre. Incontrando tutte le parti di me che ho perso ma mai davvero. Rivedendo panini inseguirmi. Bibitoni gasati salutarmi. Patatine fritte ballare urlando ci manchiiiiiiiiiiiiiiii. E mi perdono. In quell’esatto momento mentre corro e vedo tutto. Mi perdono.

Questo è uno dei motivi per cui corro. Riesco a regalarmi del tempo per perdonarmi. Poi me ne dimentico ma domani: corro di nuovo. E allora? Vivo nell’attesa di poterlo fare. Ancora.

La leggenda metropolitana del gambero

Tutti credono che i gamberi camminino al contrario. Non è vero e lo dico perché sono abbonata a Focus (ma quello dei piccoli, sia chiaro) dove ci sono anche tanti animaletti da colorare e puntini da unire per formare ornitorinchi! Leggenda metropolitana vuole che si tiri indietro ma non è così. Il gambero va avanti eccome, e pure spedito (fa un balzo indietro solo per difendersi). Per questo ho scelto dei gamberoni. Per tutti quelli che credono di non poter andare avanti e provare a correre e si tirano indietro. Siete una leggenda metropolitana come il gambero. È un cocktail perché dovete celebrarvi e fare un brindisi a voi stessi. E correre.

Perché.

Potete correre, eccome.

(Magari prima qualche camminata e balzo indietro,  eh?)


Cocktail di Gamberoni con condimento piccante al Limone e Zenzero

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Per due persone:

8  Gamberoni/Scampi interi freschissimi
Olio extra vergine d’oliva per spennellare
Sale marino grosso da macinare
Pepe nero in grani da macinare

Condimento piccante al Limone e Zenzero

100 ml di succo di limone appena spremuto
3 cucchiai di salsa di soia
Sale marino grosso da macinare
140 ml di olio di vinaccioli o in assenza olio di sesamo
Una grattugiata di radice di zenzero fresco
1/2 cucchiaino di peperoncino tritato finemente (facoltativo)
Per preparare il condimento raccogli tutti gli ingredienti in una ciotolina e per ultimo aggiungi olio e sale. Se vuoi un sapore ancora più intenso e agrumato aggiungi anche un po’ di scorza di limone grattugiata sul momento evitando la parte bianca amara.

Decidi se dopo aver rimosso il carapace da ogni scampo vuoi lasciare il ventaglio della coda o meno, che sarà scenografica sì ma scomoda quando servi. Riscalda la griglia o la piastra per bene e nel frattempo spennella con cura la superficie degli scampi con olio extra vergine d’oliva. Macina sopra il sale e il pepe e cuoci per due minuti da ambo i lati. Non tenerli troppo sul fuoco perché rischierebbero di indurirsi. Se hai intenzione di servirli rievocando un Cocktail infilzali con degli spiedini lunghi o se preferisci con degli spaghetti come ho fatto io. Disponi il condimento alla base del bicchiere e poggia gli scampi scegliendo tu la composizione che ti aggrada di più. Sono esteticamente carini anche tutti insieme come fossero uno spiedino o disposti su un piatto semplice bianco con una piccola ciotola contenente il condimento. Arricchisci in questo caso con qualche fetta di limone o con la radice di zenzero stessa.

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16 Commenti

    • E’ una mia delle mie migliori amiche che finge di non conoscermi * gridò in preda all’onestà più sfrenata

      Ma grazie a te Cara Francesca! Di dove sei? :-D <3

        • quando ce la faccio? :-D <3

          ( sìììììììììììììììììììììììììììììì )
          (fingere di non conoscersi. Riderò fino a domani :* )

  1. Anch’io ho iniziato a correre un anno fa con doppio mento, rotolini sballonzonanti e tutto il corredo completo, così come l’hai descritto!
    All’inizio c’era vergogna, perchè in palestra “chissà cosa pensano gli altri a vedere quest’ammasso informe che corre!!”.
    Ma ora non c’è nessuna vergogna, continuo a correre a testa alta, sempre! Orgogliosa di dove sono arrivata e cocciuta nel sapere che posso ancora fare di più!
    E vogliamo parlare degli sconosciuti in palestra che mi fanno i complimenti per i miei progressi??
    E diciamolo, quel doppio mento che non c’è più, quei rotolini che ci sono ma che non sballonzano più, per una volta nella vita mi piaccio. La corsa ha fatto questo!!
    E leggere le tue parole è come leggere dentro di me!!
    Grazie Iaia per le tue parole!!
    Un abbraccio!!

    • Deborah piacere io sono Iaia. Prima di tutto: perdono perché leggo solo adesso. Sono molto distratta (e anziana soprattutto neuronalmente *_* ).
      Grazie per avermi scritto. Per le parole. E per avermi dedicato il tuo tempo perché è molto importante e significativo per me.

      Le tue parole mi hanno commosso. Provo sempre una felicità incontenibile leggendo che si ha voluto il coraggio ( e la forza immane) di rialzarsi. E correre.
      Sugli sconosciuti in palestra che ti fanno i complimenti ho sorriso compiaciuta e ti ho fatto l’occhiolino (e ti ho anche abbracciato!)
      Sono felicissima !
      E spero di poter correre un giorno con te.
      Grazie davvero infinite per avermi scritto.
      Un abbraccio grandissimo.
      Spero a presto :*

  2. Brava Giulia! E’ una vita che non ti scrivo ma con l’occhiolino ti seguo sempre. Mi piace un casino questa nuova rubrica, e mi fa sorridere e riflettere.
    E’ meraviglioso come riesci a passare dal divertentissimo allo splendido alla vita che a volte è anche feroce. Continuo a seguirti, di corsa ovviamente :)

    • Vero lusingata ed emozionata.
      E’ vero.
      Non c’è mai stato un tempo per noi, riflettendo. E mi sarebbe piaciuto molto. Non per cerimonia ma perché è vero.
      Spero ci possa essere.
      Ti ringrazio per sorbirti questo strazio di seguirmi :-D <3 e ti mando un abbraccio sincero (ovviamente ho letto adesso. Ma ti pare che arrivo prima di uno-due mesi? sono vergognosa)
      Un bacio grande!

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