Questione di dopamina

Secondo una recente ricerca, la resistenza alla fatica non dipenderebbe solo dalla mente e dalla predisposizione fisica ma anche dalla dopamina.


  • Uno studio della Johns Hopkins University School of Medicine ha rivelato che la resistenza alla fatica dipende anche dalla presenza di dopamina nel cervello.
  • La disponibilità di dopamina influisce sulla percezione individuale dello sforzo fisico e determina la volontà di ripetere gli sforzi in futuro.

 

Secondo una recente ricerca della Johns Hopkins University School of Medicine, la resistenza alla fatica non dipenderebbe solo dalla mente e dalla predisposizione fisica ma anche dalla dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore legato alle gratificazioni, al piacere e alla motivazione, responsabile anche di un fenomeno noto a chi corre, e cioè il cosiddetto “runner’s high”, ossia lo sballo provocato dalla corsa.

Fino a oggi si pensava che la dopamina fosse solo una piacevole conseguenza dell’attività fisica ma questo studio ha evidenziato che potrebbe anche essere responsabile nel determinare perché alcune persone percepiscono le attività fisiche come “facili” mentre per altre sono faticose.

Per vie traverse

In realtà i soggetti studiati dagli scienziati non erano né runner né sportivi, bensì persone affette dal Parkinson, che causa la progressiva perdita di cellule produttrici di dopamina nel cervello, causando movimenti involontari e incontrollabili come tremori, oltre ad affaticamento, rigidità e problemi di equilibrio o coordinamento.

Partendo dalla considerazione che l’attività sportiva sviluppa proprio la dopamina, i ricercatori si sono chiesti se un approccio del genere potesse funzionare anche con chi è affetto dal Parkinson. Se, in altri termini, adottare uno stile di vita improntato il più possibile al movimento può in qualche modo limitare i danni provocati non solo dal Parkinson ma anche dalla depressione e da altre patologie.

L’intuizione su cui si fonda lo studio guidato da Vikram Chib, professore associato nel Dipartimento di Ingegneria Biomedica presso la Johns Hopkins University School of Medicine e ricercatore all’Istituto Kennedy Krieger, è che alcune persone trovano l’impegno fisico più facile rispetto ad altre.
Lo studio ha confermato che infatti che la disponibilità di dopamina nel cervello è un fattore chiave.

Più nel dettaglio, la percezione che le persone hanno dello sforzo fatto dopo l’attività fisica, è determinante per far loro decidere se ripetere anche in futuro gli sforzi fatti.

In precedenza si era dimostrato che, all’aumentare della produzione di dopamina, le persone sono positivamente disposte all’idea di sudare e faticare nuovamente in futuro. Il nuovo studio si concentra sul ruolo della dopamina nella valutazione individuale dell’impegno richiesto per un compito fisico, anche senza la promessa di una ricompensa.

I candidati

Allo studio hanno partecipato 19 adulti con diagnosi di Parkinson: 10 maschi e 9 femmine di età media di 67 anni. L’esercizio che dovevano compiere era uguale per tutti e consisteva nello stringere una presa manuale dotata di un sensore e di diversi livelli di sforzo.

Le rilevazioni venivano effettuate in due giornate distanti tra loro di almeno quattro settimane. In una giornata i pazienti assumevano la loro normale dose di dopamina sintetica mentre nell’altra interrompevano l’assunzione almeno 12 ore prima di eseguire il test.

In entrambe le giornate, ai pazienti è stato inizialmente chiesto di stringere la presa e valutare soggettivamente quanta fatica pensavano di aver fatto e di stringere in modo tale da esercitare un determinato sforzo. In entrambi gli esercizi, l’autovalutazione dei soggetti si è dimostrata più accurata quando avevano assunto il farmaco.

È evidente insomma che al diminuire della dopamina a disposizione, la percezione dello sforzo è distorta, finendo per apparire maggiore di quanto sia in realtà, e comportando minore motivazione.

Altri esperimenti si basavano sulla propensione a prendersi rischi modesti (come essere costretti a stringere con più forza) in cambio di piccole somme di denaro o del lancio di una moneta. In altri termini, se avevano assunto la dopamina sintetica, la propensione al rischio (e al potenziale sforzo fisico associato al fallimento della scommessa) era maggiore che senza terapia.

In conclusione

I risultati della ricerca, secondo Chib, dimostrano insomma che la dopamina, aumentando la motivazione e la fiducia in sé, espone di più al rischio controllato di dover esercitare sforzi in futuro, ma non per errore di calcolo, quanto piuttosto perché questo neurotrasmettitore dona anche lucidità nelle valutazioni.

I soggetti con dopamina bassa sono insomma meno oggettivi nel valutare l’entità dello sforzo richiesto, e, rendendosene conto, sono anche più propensi a non affrontare lavori fisici che, con il Parkinson o con la depressione, appaiono impossibili e sfiancanti.

Spingere chi è affetto da Parkinson, depressione o altre patologie debilitanti potrebbe insomma trovare un valido alleato nello sport in generale. Come si è capito, più dopamina si produce, più si è obiettivi nel valutare preventivamente lo sforzo richiesto e quindi più si è disposti a impegnarsi in sforzi futuri.

(Via SciTech Daily)

PUBBLICATO IL:

Altri articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.