Questo fatto non è verificato ma è credibile: da quando abbiamo Google il numero delle persone che si autodiagnosticano qualsiasi malattia è aumentato. L’accesso a informazioni che non si ha la competenza di verificare è stato reso molto più facile in questi ultimi decenni e non stento a credere che molti abbiano desunto da un’unghia incarnita di avere la malaria.
Avere in mano – cioè direttamente sul nostro cellulare – tutta la conoscenza del mondo non significa saperla gestire e saperla usare. Capita insomma di cogliere un dettaglio e ingigantirlo o sminuirlo, a volte adattandolo alla propria persona sino a desumere che un raffreddore sia un chiaro sintomo di una malattia terminale. Ma questo vale per gli ipocondriaci, e non a caso si dice che quando hai qualcosa e vai su Google a controllare, scopri che sei morto, almeno una settimana fa.
O dovresti esserlo, ma non è così, fortunamente.
Il coach
Non dovevi parlare del coach? Certo, e infatti ci arrivo. Il coach è la persona competente che deve interpretare quello che leggi su Google, così come è meglio farsi leggere da un medico le proprie analisi del sangue e non concludere dai trigliceridi “mossi” (come amano dire alcuni medici) che… sei morto una settimana fa, appunto.
In altre parole, il coach è la persona che ti guida in un percorso di miglioramento, nel nostro caso sportivo.
Ha infatti delle caratteristiche che lo o la rendono indispensabile, la prima delle quali è la competenza. Da questa discende tutto il resto.
Dalla sua competenza discendono infatti:
– L’obiettività con cui ti osserva, ti corregge e ti aiuta a migliorare
– La fiducia che ti ispira
– Il trasporto con cui segui quello che ti dice e ti consiglia.
Ma vediamo queste qualità una alla volta.
Competenza
Il coach ha innanzitutto conoscenza del corpo, dell’anatomia e della pratica sportiva, questo è un dato quasi scontato. Non ti faresti curare da un medico che ti fa capire di non sapere con esattezza se lo stomaco è a destra o a sinistra, no?
La sua competenza non si ferma a queste conoscenze tecniche, anche perché quelle forse più importanti sono di natura psicologica. Per semplicità diremo che un buon rapporto fra il coach e chi segue si basa su una conversazione, a volte fatta di parole ma spesso anche di silenzi. E, come ogni conversazione, sottintende che ci sia un rispetto reciproco. Il rispetto del coach è guadagnato con i miglioramenti di chi segue, quello di chi viene seguito da un coach si basa sulla dedizione con cui mette in pratica i consigli. E su cosa si basa il rispetto? Sul seguente punto:
Fiducia
Una conversazione richiede, come si diceva, il rispetto delle parti e non può che fondarsi quindi sulla fiducia reciproca: dell’allenato o allenata nei consigli e nella competenza del coach e del coach nelle potenzialità di chi allena.
Questo è un punto fondamentale e si ricollega all’esempio da cui siamo partiti, che serviva a dire una cosa molto semplice (visto che ci arrivavo?): è difficile essere obiettivi verso se stessi e, specie nel mondo sportivo, non riusciamo a vederci dal di fuori e a capire in maniera distaccata in cosa sbagliamo e quali margini di miglioramento abbiamo.
Un coach non ti vede per cosa sei ma per cosa puoi diventare.
In altre parole è in grado di proiettare la tua condizione nel tempo futuro, vedendo con buona approsimazione dove puoi arrivare e quale margine di evoluzione hai. Saperlo fare da soli è praticamente impossibile, e lo dimostra il fatto che anche i migliori atleti al mondo hanno un coach. A rigor di logica non dovrebbero, no? Sono i migliori! E invece.
Quindi, perché non dovresti averlo pure tu?
L’ispirazione
Sì, un coach deve ispirarti, nel senso che deve darti la motivazione per fare qualcosa e, nei casi più fortunati, deve saperlo fare anche a discapito di quanto tu sia convinto o convinta di quel che ti fa fare.
Sembra un controsenso ma il rapporto di fiducia e rispetto implica una certa sospensione del giudizio da parte di chi è allenato. Gli americani hanno una bella espressione per indicare questo atteggiamento ed è “to buy it”, cioè letteralmente “comprarsela” ma nel senso di “crederci anche se non si è convinti”.
Mi rendo conto che questo è un punto controverso perché sembra voler dire che il coach ha un potere psicologico totale su chi allena ma non è affatto così. Quello che si intende è che bisogna avere fiducia in ciò che lui o lei ti dicono di fare, indipendentemente dal fatto di capirne il motivo o meno. Serve specificare che, ovviamente, escludiamo tutti quei casi in cui le richieste siano palesemente deliranti o nocive? Quelli sono i pessimi coach ma non ne parliamo qui, anche se esistono.
Persone allenate dai migliori coach raccontano che i migliori risultati li hanno avuti quando hanno deciso di affidarsi, senza opporre resistenza (cioè senza mettere in discussione la competenza del coach): è come se avessero tolto l’ultimo freno che avevano a lasciarsi andare del tutto, decidendo consapevolmente di farsi guidare ed eseguire.
Perché è in quei frangenti che il potenziale dato dalla somma della forza del coach e di chi è allenato finalmente si sprigiona.
Un’osservazione finale
Quest’ultimo aspetto può essere, si diceva, controverso. Potrebbe far credere che il rapporto sia di subalternità, come se potesse funzionare solo se il coach è libero di esercitare il suo potere senza responsabilità.
Vediamola però da un altro punto di vista: non c’è potere che possa essere esercitato se non è concesso a chi lo ha di farlo. La capacità del coach di incidere sulla preparazione dell’atleta è tanto più efficace quanto più l’atleta gli riconosce l’autorità per farlo. E su cosa si basa questo rapporto? Sulla fiducia, esatto.
Quando è stabilita quella tutto discende di conseguenza, fino all’affidarsi alle sue parole e ai suoi consigli perché si sa che sono dati per ottenere un miglioramento e per permetterti di sviluppare il tuo potenziale.
E ricordi da dove eravamo partiti? Dall’impossibilità di essere oggettivi verso noi stessi.
Ecco a cosa può servirti un coach: a vederti dal di fuori, a correggerti e a condurti sulla strada del miglioramento fino a farti essere ciò che puoi diventare.