L’effetto placebo e il potere delle aspettative

I placebo appartengono all’ambito medico e della ricerca ma perché non usarli anche in quello dello sport? Ovviamente c’è chi ci ha pensato


  • Il placebo è la sostanza di controllo più testata al mondo, non essendo un farmaco ma generando effetti attraverso la convinzione del paziente.
  • Cosa succede se si applica il concetto di placebo all’ambito sportivo?
  • Lo studio ha dimostrato che l’aspettativa e la convinzione hanno un ruolo significativo nei risultati di un allenamento, evidenziando il potere dell’autopersuasione nel processo di miglioramento sportivo.

 

Se ti chiedessero qual è il farmaco più testato al mondo, quello che è stato soggetto a più sperimentazioni mediche probabilmente risponderesti l’aspirina o la tachipirina. E non sbaglieresti o non del tutto. In realtà infatti il farmaco di gran lunga più testato al mondo e nella storia è il placebo.

Se non sai di cosa si tratta è presto spiegato: più che essere un farmaco, ne ha le sembianze ma non contiene alcun principio attivo. In altri termini si tratta di una sostanza di controllo neutra che serve a capire se il farmaco vero e proprio ha effetti. Il suo superpotere è che trasmette a chi lo assume la sensazione e la convizione che qualche effetto lo deve avere. Hai capito bene: in termini fisici un placebo è studiato per non produrre alcun effetto sul fisico. Eppure può produrlo, perché il solo fatto di essere stato somministrato genera nel soggetto la convinzione di doverne provare un qualche effetto.

È per questo che, pur non essendo un farmaco ed essendo anzi neutro, si dice che è la medicina più testata al mondo: questa sostanza neutra è infatti stata sottoposta a trail medici come nessun altra.

La ricerca

Partendo dalla considerazione che il placebo in molti casi agisce a livello della percezione del dolore, un gruppo di ricercatori norvegesi ha pensato di adottarne il concetto e di calarlo nel mondo dello sport.

Come ogni ricerca che si rispetti, anche questa aveva un gruppo di soggetti sperimentale e un gruppo di controllo. Per capirci meglio: il gruppo di controllo è quello che nella ricerca medica viene utilizzato per stabilire un punto di riferimento per confrontare i risultati ottenuti nel gruppo sottoposto al trattamento sperimentale. Questo permette ai ricercatori di determinare se gli effetti osservati nel gruppo di trattamento sono effettivamente dovuti al trattamento stesso o ad altri fattori.

Nel caso specifico a entrambi i gruppi (quello che riceveva il “trattamente sperimentale” e quello che riceveva il placebo) non veniva somministrato alcun farmaco ma solo un allenamento. Dopo un esame che serviva a valutare le prestazioni dei candidati rispetto a determinati sforzi fisici, al gruppo di controllo è stato “prescritto” un allenamento personalizzato per potenziare le prestazioni individuali relative a quegli specifici esercizi mentre il gruppo sperimentale è stato allenato secondo un programma generico.

In verità però entrambi i gruppi avevano ricevuto lo stesso programma generico, con la differenza che a quello di controllo era stato detto che si trattava di un programma specifico. L’effetto placebo in questo caso consisteva nel far credere al gruppo che si trattasse di un “vero farmaco”, e al gruppo “sperimentale” che invece l’allenamento fosse uguale per tutti.

I risultati hanno confermato che in buona parte degli esercizi, il gruppo di controllo dopo 10 settimane era migliorato, mentre in altri esercizi i progressi erano paragonabili. Ricorda che l’unica differenza non era nel tipo di allenamento ma solo in come era stato presentato ai due gruppi. La conclusione è che chi pensava di seguire un programma personalizzato era più motivato e ha ottenuto risultati mediamente (non in valore assoluto) migliori, pur non essendo in possesso di alcuna formula magica.

Il potere dell’aspettativa

Cosa dimostra insomma questa ricerca? Forse che i programmi di allenamento generici vanno benissimo e che seguirne uno personalizzato non garantisce particolari risultati? No di certo. Però dimostra in un ambito sportivo ciò che è noto da moltissimo tempo in quello medico, e cioè il potere dell’autopersuasione (o autosuggestione) nei percorsi di cura e, possibilmente di guarigione. Non dimostra però che per guarire (o per allenarsi meglio) basta essere convinti di possedere la formula magica: purtroppo in molti casi il principio attivo fa la differenza fra malattia e guarigione.

La ricerca però conferma che la volontà e la convinzione in ciò che si fa aiuta a pretendere di più da sé stessi e a ottenere risultati migliori. Senza l’aiuto di niente che non sia la propria forza di volontà o la capacità della nostra mente di essere convinta della bontà del farmaco o del metodo di allenamento, come in questo caso.

Come puoi mettere a frutto questa scoperta? Per esempio pensando – molto semplicemente – che quello che stai facendo avrà un effetto. Non si tratta di pensare positivo e basta. Più che essere positivi a tutti i costi, fino ad arrivare a negare o sottostimare la realtà, è questione di tenere in considerazione il potere della mente nell’ambito sportivo.
In altre parole e per concludere diciamo che l’essere convinti che un allenamento possa funzionare o avere un qualche effetto aiuta di più che pensare che non ne abbia alcuno. Pensare insomma che un farmaco (o un allenamento) funzioni produce più effetti positivi che pensare che non abbia alcun potere particolare.

(Via Psychology Today)

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