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Un’azienda vende una bottiglia che ti ricorda di bere acqua, con una scala graduata per monitorare l’assunzione quotidiana.
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La tecnologia può essere utile, ma non staremo perdendo la capacità di ascoltare il nostro corpo senza l’aiuto degli oggetti?
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La soluzione è correre, perché farlo aiuta a sviluppare questa consapevolezza fisica.
Ho visto su Instagram la pubblicità di una bottiglia che ti ricorda di bere. Ha l’obiettivo di farti bere almeno due litri di acqua al giorno e lo fa con una scala graduata divisa per lato fra mattino e pomeriggio, con le ore segnate: alle 8 del mattino il livello deve essere lì, alle 3 del pomeriggio più giù. Geniale no?
Ora devo però confessare che sono stato portato dalla sua descrizione a immaginare tutta un’altra cosa, che poi mi ha fatto esplodere pensieri in testa, come uno spettacolo pirotecnico. Il claim diceva “La prima borraccia che ti ricorda di bere” e io ho pensato che ti parlasse o che ti mandasse una notifica sul telefono. Sono fantasioso ma so anche bene che la nostra simbiosi col cellulare è talmente perfetta che chiunque voglia entrarti in testa sa che deve passare di là.
Quindi ho immaginato che non solo ti mandasse notifiche ma che ogni volta che bevevi dicesse al tuo telefono che l’avevi fatto. Ho immaginato avesse qualcosa nel tappo o nel fondo, non lo so, un sensore che si accorge che hai bevuto e lo va a spifferare al tuo telefono. Sai gli oggetti dell’Internet of Things che sono sempre più intelligenti e che si parlano fra di loro? Ecco.
L’idea non è malvagia se ci pensi bene: sapresti dire quanta acqua hai bevuto in un giorno? Ti ricordi di farlo? Questa bottiglia attraverso la sua app potrebbe saperlo e indurti – in modo magari indiretto – ad assumere abitudini virtuose, come bere con regolarità. Se voi di basika mi leggete, beh, sapete chi ringraziare per le future versioni della vostra bottiglia.
Però
Scrollando distrattamente Instagram e vedendo questa sponsorizzata devo ammettere che la prima reazione è stata un po’ diversa. Ho pensato – forse sono ormai un vecchiaccio – se davvero siamo arrivati al punto di farci dire dalle cose cosa dobbiamo fare. Non siamo più capaci di capire se abbiamo sete o se il nostro corpo richiede acqua? Viviamo così tanto immersi nel digitale che ci siamo dimenticati che abbiamo anche una dimensione fisica? Insomma: siamo ancora capaci di sentirci, di ascoltare il nostro corpo?
La tecnologia può essere una cosa magnifica e per moltissimi versi lo è. La qualità della vita è incredibilmente migliorata negli ultimi decenni proprio grazie all’evoluzione tecnologica e a come – in molti casi – ci ha aiutato a vivere più semplicemente. Pensa a come paghi oggi qualcosa, a come trovi un ristorante, a come ti togli un dubbio linguistico e mille altre cose: tenendo una tavoletta in mano e pigiando qualche tasto.
Non è un discorso passatista il mio: non tornerei indietro per niente al mondo. Non avrei nessuna voglia di andare in biblioteca per cercare di conoscere la vita di qualche personaggio storico né in banca per ritirare dei soldi o mille altre cose che ora impiego tre secondi a fare.
Quello che però abbiamo scambiato per la comodità di fare certe cose più semplicemente è la condivisione di molti dettagli della nostra vita con un oggetto, che poi è collegato a mille servizi diversi, dislocati chissà dove.
È il prezzo da pagare, certo, e non è nemmeno la parte più interessante, o quella che qui mi interessa dire.
Ti senti?
Quello che voglio dire è che, davvero, non ci sappiamo più ascoltare, ammesso che ne siamo mai stati in grado. Pensiamo di dover bere solo quando abbiamo sete (sbagliato: quando siamo assetati il nostro corpo ha già da tempo bisogno di bere, e ce lo dice urlando a suo modo), non sapremmo dire quanti battiti al minuto fa il nostro cuore, mangiamo quello che vogliamo e non quello che dovremmo mangiare, semplicemente perché non capiamo molto di alimentazione.
Quindi arrivano le cose a dirci di farlo e come farlo. Forse non siamo ancora a quel punto ma ci arriveremo, e va benissimo così, a patto che non perdiamo la capacità di ascoltarci a prescindere dal fatto che ce lo dicano degli oggetti che usiamo.
E qui, mi scusino tutti gli altri, noi runner siamo avanti.
L’allenarsi, lo stare nella natura, l’usare il nostro corpo ci ha naturalmente portati a conoscerlo molto meglio. Correre ci permette infatti di avere consapevolezza della nostra sostanza fisica. Sappiamo la fatica che ci vuole, misuriamo con il sudore cosa significa pesare troppo, parliamo al nostro cuore e a ogni organo che ci compone.
Non saprei come chi fa una vita sedentaria possa raggiungere questa consapevolezza. Se stai seduto tutto il giorno, se non concepisci altro sforzo che sia muoversi il minimo possibile, figurarsi il farlo senza motivo tipo correndo, non hai molti modi per parlare al tuo corpo.
Forse gli oggetti ti aiuteranno a farlo, chi lo sa.
L’unico consiglio che posso darti è sempre quello: vai a correre e capirai tante cose.
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