Questa non è una notizia, o magari sì, in parte. C’è un nuovo assistente elettronico che “legge” il tuo metabolismo e capisce attraverso il tuo respiro come devi alimentarti. Ci soffi dentro e, analizzando l’aria nei tuoi polmoni, riesce a capire di cosa hai bisogno di nutrirti. Non solo in senso generale ma anche in funzione dell’attività che devi svolgere: se è una giornata di riposo non ti consiglierà di insistere sui carboidrati ma se di lì a poche ore dovrai allenarti lo farà. Immagino, non so bene. Ho intuito che funziona così e fa anche altro, tanto da stupirti, quasi come non pensavo potesse stupire ancora un assistente digitale nel 2022. All’analisi del metabolismo non c’avevo proprio pensato o almeno pensavo che certe cose fossero ancora dominio dei laboratori specializzati. E invece: fra pulsossimetri, cardiofrequenzimetri, analisi di qualsiasi parametro vitale si può ben dire che i laboratori ormai li indossiamo.
È un bene perché questi strumenti ci aiutano a essere molto più consapevoli di noi stessi e dell’attività che svolgiamo. Ci danno una misura di qualcosa che 10 anni fa era molto più complicato calcolare o conoscere.
10 anni fa conoscere il proprio battito a riposo era inusuale.
10 anni fa sapere quanti passi facevamo al giorno era difficile.
10 anni fa misurare il proprio passo di corsa era possibile ma non usuale.
10 anni fa non esistevano apparecchiature leggerissime e indossabili che analizzavano il sonno e capivano quando e in che condizioni riuscivamo a riposarci meglio.
Tutto ciò è bellissimo e utilissimo, non voglio dire affatto che non sia così.
Eppure
Eppure quando ho visto questo nuovo strumento sono rimasto un po’ interdetto. Non escludo che le mie origini abbiano influito nel giudizio: che un software dica a un italiano come e cosa mangiare è qualcosa di inaudito e inaccettabile per chi, da sempre, è abituato a mangiare bene. Come tutti gli italiani, insomma.
Ma non voglio farne una questione campanilistica: non lo è e basta.
Quello che intendo è che ho percepito come, per la prima volta da quando vedo le novità del settore in termini di gadget (e ne ho viste decine e decine, e diverse le ho provate e usate), ci fosse qualcosa di troppo.
Non si tratta nemmeno dell’oggetto in sé – agli inventori del quale auguro ogni fortuna (commerciale) – ma di ciò che rappresenta. Vedila da un altro punto di vista: un oggetto ti dice come nutrirti analizzando il tuo respiro e capendo che carenze hai, in funzione di una vita sedentaria o attiva.
Bellissimo. Ma la domanda è: come siamo finiti a non sapere più nemmeno come nutrirci e cosa mangiare?
Trasferimento di responsabilità
Ho questa teoria, derivata dalla mia frequentazione del mondo fotografico: non tutti quelli che hanno macchine costosissime sono bravi fotografi, e non tutti quelli che hanno macchine vecchie e scassate sono scarsi fotografi. Anzi.
Quello che intendo è che, in molti ambiti, c’è un trasferimento di responsabilità da noi stessi agli strumenti che usiamo: “Ho seguito i consigli di [Assistente Digitale BT27], quindi ho fatto bene”, come se fosse un allenatore o un nutrizionista o, peggio, la mamma. Siamo arrivati al punto di non affidarci più alle macchine ma di fidarci delle macchine, e c’è una certa differenza.
Potrebbe sembrare un discorso da vecchio lamentoso ma non intendo accusarela tecnologia. In primo luogo non mi lamento di niente, in genere. In secondo luogo ne faccio largo uso e abbraccio ogni novità in quel campo con entusiasmo. Quello che mi ha fatto riflettere è però il sospetto che stiamo prendendo una direzione che punta al fidarsi e non più all’affidarsi. Ci si “affida” nel senso che si fa conto su qualcosa o qualcuno, mentre ci si fida quando non si esercita più spirito critico.
La tecnologia dovrebbe sempre essere uno strumento e non un giudice. Non dovrebbe sostituire insomma una conoscenza che, riguardandoci, dovremmo possedere. Dovremmo insomma sapere come e cosa mangiare. Dovremmo sapere cosa ci fa bene e cosa ci nuoce. Dovremmo capire come il nostro corpo ci chiede di nutrirlo. È come se il dialogo fra la nostra mente e la meravigliosa macchina che lo ospita si fosse interrotto e fosse stato sostituito da… un’altra macchina, attivata da un processore.
La consapevolezza
Come spesso ripetiamo, la consapevolezza non è solo conoscenza ma è uno stile di vita, è un comportamento etico improntato a una visione esistenziale, a un fine che ci si propone: rispettare il nostro corpo e la nostra mente, fare in modo che siano in forma, che stiano bene. Alla base c’è però una conoscenza, una comprensione di come funzionano mente e corpo. Molta tecnologia che usiamo ci fornisce dati che devono essere interpretati (basta pensare agli sportwatch) e che richiedono conoscenze.
Ho come l’impressione che certe nuove tecnologie ci vogliano anche togliere l’onere di sapere perché è meglio mangiare carboidrati o proteine, non rendendoci più consapevoli del perché lo stiamo facendo.
Non immagino un futuro in cui le macchine ci comanderanno, non sono così pessimista. Dico che in certi casi ci stanno liberando dall’onere di capire le cose per metterle a fondazione della nostra consapevolezza.
E non possiamo essere consapevoli senza conoscere il perché delle cose, di come avvengono e perché funzioniamo in un certo modo.
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