Le scarpe da running del 2022

Che scarpe aspettarsi nel 2022? Il carbonio domina ancora ma ci sono notizie interessanti sia per i prezzi che per i runner a cui sono destinate

La scarpa da running con cui correrai in questo nuovo anno non sarà quella che vedi in foto. È anche vero però che negli ultimi anni le novità tecniche che hanno coinvolto le scarpe da running sono state numerose: fra tutte, l’introduzione della piastra in fibra di carbonio è sicuramente quella che ha dato impulso a un prodotto che si era evoluto nelle mescole dell’intersuola e nella leggerezza della tomaia ma che si dimostrava sempre più bloccato e con limitate capacità di miglioramento.
Se dobbiamo raccontare la storia delle scarpe da running negli ultimi 10 anni possiamo individuare alcuni punti fermi: svolte epocali o comunque importanti attorno alle quali il prodotto scarpa è cambiato, evolvendosi.

10 anni fa: due visioni contrapposte

Al tempo la scarpa “tradizionale” – con intersuola in EVA e tomaia protettiva e carica di contrafforti e supporti, spesso con inserti correttivi nell’intersuola per bilanciare la iperpronazione o ipersupinazione – si era improvvisamente trovata a confrontarsi con il suo esatto opposto: la scarpa minimal, con pochissimo o nessun drop (differenza di quota fra punta e tallone), con un’intersuola di spessore molto contenuto e con nessun particolare supporto. Quella che pareva essere sulla carta una scarpa destinata a far infortunare chiunque la usasse divenne invece l’emblema del recupero di un modo di correre, appunto, “naturale”, basato su una meccanica di corsa che, almeno a detta di chi la propugnava, limitava o azzerava gli infortuni (io posso testimoniare che è così, ma è un punto di vista singolo e non fa statistica).
In realtà non vi fu un vero e proprio scontro: la scarpa tradizionale continuò a essere la più diffusa e quella minimal conquistò una parte di runner più attenti alle innovazioni e più inclini alla sperimentazione. Quello che successe fu però che le due visioni – tradizionale e natural – si ibridarono: le tradizionali abbassarono il drop e divennero più leggere eliminando o riducendo sostegni e protezioni, e le minimal divennero nel corso degli anni “più comode”, aggiungendo spessore all’intersuola e addomesticandosi, anche per ampliare il proprio mercato a chi era più restio a cambiare il proprio modo di correre, spostandosi dal tallone all’avampiede.

L’era delle nuove mescole

L’evoluzione delle scarpe tradizionali si concentrò soprattutto nel reparto intersuola: per migliorare le prestazioni meccaniche fu infatti necessario sviluppare nuove mescole, più reattive ed elastiche. Era il 2013 e nacque la adidas Energy Boost, con una mescola (Boost, appunto) capace di un ritorno di energia molto superiore all’EVA. Fu la prima e, un po’ alla volta, ogni brand sviluppò una versione propietaria con analoghe premesse e diversi risultati. Una linea evolutiva era però tracciata.

L’era del carbonio

È il 2016: Nike scommette su tre maratoneti. La sfida è di farli correre a Monza sulla lunghezza della maratona. Non si tratta di una gara ufficiale ma ciò che l’azienda americana vuole dimostrare è che un uomo può correre quella distanza sotto le due ore. L’evento si chiama Breaking2 e alle scarpe dei tre maratoneti ci sono le Zoom Vaporfly Elite: un profilo inedito, una tomaia superleggera e soprattutto una piastra in fibra di carbonio affondata in una mescola di nuova concezione. Ogni dettaglio è tirato all’estremo e quelle scarpe diventano strumenti per sfidare ogni limite. Il dubbio che si possa trattare di doping meccanico viene sollevato subito ma il mancato superamento del record, per un po’ almeno, placa la discussione.
Ma una nuova linea evolutiva è stata indicata: chi vuole innovare e spingere i runner e le runner verso nuovi orizzonti (e nuove velocità) deve sviluppare prodotti che si basino sull’impiego del carbonio.

Oggi: la seconda era del carbonio e il trail

Come ogni nuova tecnologia, all’inizio il carbonio aveva costi notevoli: difficile trovare qualcosa che costasse meno di 250€. Dal 2017 in poi quasi ogni brand ha sviluppato una linea di scarpe con piastra in carbonio e l’ha sempre collocata nella fascia alta della propria proposta, come era anche logico che fosse. Chi usava quei prodotti era chi già correva forte, chi insomma cercava un incremento di velocità che solo una scarpa meccanicamente avanzata poteva dargli.
È importante notarlo perché si delinearono allora due aspetti che condizioneranno (e ancora oggi condizionano) il mercato delle scarpe con piastra di carbonio: i limiti del loro utilizzo e il loro costo.
Il primo era legato alla costruzione della scarpa stessa: una piastra in fibra di carbonio dà infatti una risposta dinamica che deve essere gestita dal runner e che è significativa solo alle alte velocità. Alle basse c’è invece il rischio concreto di sovraccaricare gli arti per via della forza che restituiscono in fase di rilascio. O, all’estremo opposto, può capitare di non averne alcun beneficio, perché la loro dinamica si esprime solo ad alte velocità. Risultato? I runner lenti che le usavano non ne avevano benefici o, paradossalmente, ci correvano pure peggio.
La questione economica è ovvia: ogni nuova tecnologia ha costi iniziali più sostenuti e diventa più accessibile col passare del tempo. Basta solo pazientare.

Oggi il mercato si è arricchito di nuove proposte basate sulla tecnologia del carbonio. Uso non a caso solo il termine “carbonio” e non “piastra di carbonio” perché non tutte le aziende usano questa soluzione. adidas per esempio ha sviluppato per le sue Boston 10 e Adizero una sorta di esoscheletro in barre di carbonio che corre sotto l’ossatura del piede e la potenzia. Una specie di armatura di Ironman. Altri hanno optato per piastre singole o doppie sovrapposte, o intere sotto e dimezzate sopra o viceversa. Ognuno ha la sua soluzione.
Lo sviluppo più interessante è però quello che va incontro a un pubblico più diffuso: la tecnologia è quella di Carbitex ed è già impiegata da Scott nel suo modello stradale e lo sarà nel prossimo Saucony da trail.

Cosa ha di diverso questa piastra di carbonio rispetto a quelle che si sono viste sin a ora? Ha un comportamento meccanico differente dalla piastra in carbonio tradizionale che è – semplificando molto – solo “on/off”. La piastra a forcella di Carbitex ha infatti dinamiche diverse a seconda della velocità: alle basse non entra in funzione ed è morbida mentre alle alte si irrigidisce e restituisce più energia. Come spiega la stessa Scott, è una tecnologia destinata a maratoneti che hanno tempi fra le 3 e le 4 ore ma che vogliono comunque migliorare le proprie prestazioni.
L’abbiamo già vista e provata sulle Scott e ora la curiosità è di provarla sugli sconnessi sentieri del trail sui quali il carbonio è arrivato più tardi sia per consuetudini produttive che perché la tecnologia doveva svilupparsi a tal punto da lasciare intatta la sensibilità che le scarpe devono trasmettere a chi corre su superfici molto accidentate. Una piastra impediva di “leggere” bene il terreno, finché almeno non si è arrivati a usare la soluzione Carbitex a forcella.

Saucony Endorphin Edge, from Running Warehouse YouTube Channel

La prima è stata la North Face Flight Vectiv e a breve sarà la volta di Saucony, con le sue Endorphine Edge Trail. La loro particolarità è quella di avere una piastra in carbonio a forma di forcella in grado di flettersi con il piede durante la rullata e di restituire energia solo in fase di stacco. La forma a Y inoltre permette all’avampiede di appoggiare ad altezze diverse su terreni scoscesi senza che una piastra monolitica e rigida costringa invece la caviglia a rotazioni pericolose.

La doppia mescola secondo PUMA

PUMA Fast-R Nitro Elite
PUMA Fast-R Nitro Elite, From Believe In The Run YouTube Channel

Ultima soluzione che si prospetta molto interessante è quella di PUMA con le Fast-R Nitro Elite. Oltre all’ormai familiare piastra in carbonio – anche se trattata in un’inedita soluzione più flessibile – e alla tomaia superleggera, queste PUMA sfoggiano un’inedita intersuola, che è in due pezzi distinti e di materiali diversi: Pebax superelastico e prestazionale davanti e più tradizionale EVA nel retrotreno, specialmente per rispondere a un problema che molti hanno lamentato con modelli simili di scarpe “estreme”: l’eccessiva e veloce usura delle mescole, più elastiche e soprattutto leggere, e per questo più ricche di gas ma con meno materiale.

Una linea evolutiva che avevamo intravisto lo scorso anno – e cioè quella di una democraticizzazione del costo delle scarpe in carbonio – si è arricchita con soluzioni inedite e sempre più sosfisticate. Per rispondere non solo alle esigenze degli atleti più veloci ma anche a chi vuole migliorarsi, con strumenti accessibili e comprensibili.

Si prospetta un 2022 interessante :)

(Credits immagine principale: everyonensk on DepositPhotos.com)

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