Il mental coach nello sport

A cosa serve il mental coach? Potrebbe esserti utile? Ecco tutte le risposte!

Al giorno d’oggi pochissimi si sognerebbero di dire che la mente non gioca un ruolo centrale nella prestazione atletica. La capacità di governare e portare ai limiti e oltre il proprio fisico dipende dalla testa e dal controllo che questa è capace di esercitare sulla macchina del corpo.

Eppure pensa a quanto fino a non molti anni fa fosse normale pensare che i risultati sportivi dipendessero solo dalla preparazione atletica. In alcuni sport – in particolare quelli individuali e quindi nell’atletica – si pensava che mente, strategie di gara e capacità di visione c’entrassero poco con il risultato finale. Siccome si trattava di dimostrare le proprie doti fisiche, per pigrizia o mancanza di immaginazione si pensava che la mente avesse un ruolo marginale se non nullo.
Oggi le cose sono molto cambiate, principalmente per tre motivi:
1. È sempre più evidente che la mente ha un ruolo centrale
2. Figure come il mental coach sono diventate normali
3. C’è un atteggiamento più maturo e comprensivo riguardo al ruolo della mente.

Ma partiamo da un differenza sostanziale.

La differenza fra salute mentale e allenamento mentale

Quando si legge la parola “mentale” – spesso associata a termini come “salute” o “squilibrio” – è facile assumere che ci si trovi nell’ambito del patologico. D’altro canto “mental” in inglese significa anche “pazzo”. Non a caso questo termine e le espressioni che lo contengono hanno faticato a essere accettate per le numerose sfumature di significato che hanno. “Mental health” per esempio si può tradurre con “benessere mentale” – quindi con uno stato di equilibrio psicologico e di forza mentale – eppure è spesso confuso con una condizione di disagio e insicurezza.

Nell’ambito sportivo si è replicata la diffidenza che si ha verso gli psicologi e come li si intende normalmente: come professionisti ai quali rivolgersi quando lo stato di malessere psicologico è insopportabile. La stessa professione dello psicologo ha subito e ancora subisce la diffidenza di chi pensa di non averne bisogno (che, in genere, sono le prime persone che potrebbero beneficiarne).

Specificato che c’è differenza (eccome) fra psicologo e mental coach, è anche vero che, come si diceva, ora entrambe le figure sono più normalmente accettate e comprese. Basti pensare a Nicoletta Romanazzi – mental coach di Marcell Jacobs – che dopo le prestazioni incredibili del velocista alle scorse Olimpiadi è stata individuata come una delle principali artefici del suo successo. Eppure non si trattava di un’allenatrice ma di una figura tecnica che aiuta gli atleti a fare un altro tipo di allenamento: quello che si può attuare senza muovere un dito. Almeno apparentemente.

Il mental coach, in questa visione e applicato all’ambito sportivo, non è un o una terapeuta ma è una figura tecnica che aiuta l’atleta a liberare il proprio potenziale imbrigliato da fobie, timori e ansie.

“Ce la farò?”, “Si accorgeranno che sono un imbroglione e che non so fare niente?”, “Ho paura di fallire”, “Sicuramente sbaglierò come ho sbagliato in quell’occasione”.
Chiunque abbia fatto o faccia agonismo o abbia velleità e spirito competitivo si è posto queste domande, in maniera cosciente o meno. Lo scopo del mental coach è quello di dare il giusto valore ai dubbi comprensibili e inquadrarli nel contesto delle possibilità che gli atleti hanno, spingendoli ad ampliarle.

Per capire meglio il suo ruolo si può dire che un mental coach è una persona che sa ascoltare più che parlare e consigliare. Ascoltando capisce quali sono i blocchi mentali e consiglia come superarli, con la giusta misura e competenza perché lo scopo è quello di responsabilizzare chi vi si affida, e ogni consiglio è, per certi versi, una manipolazione e una sottrazione di responsabilità. Un bravo mental coach insomma ti spiega come raggiungere gli obiettivi prefissati con le tue forze e sfruttando solo il tuo potenziale, senza mai sostituirsi alla tua volontà.

Le tecniche più usate

Nell’ambito sportivo, oltre all’ascolto attivo dell’atleta (come già detto, parte fondamentale del lavoro del mental coach), si usano diverse tecniche volte a fortificare motivazione, volontà, chiarezza di visione e concentrazione.
– Le visualizzazioni servono a focalizzare l’attenzione sulla prestazione e il movimento, dato che anche con la sola immaginazione si può istruire il corpo a fare qualcosa, o almeno prepararlo.
– Mantra: è una delle tecniche di concentrazione più antiche e non a caso è usata nella meditazione trascendentale.
– Frasi motivanti o attivanti: sono formule che hanno un particolare e personale significato per l’atleta che nei momenti di difficoltà hanno la funzione di rinforzare la volontà e la motivazione
– Activation control, cioè la capacità di rilassarsi e concentrarsi a comando, con la respirazione o l’ascolto di musica, o meditando. La respirazione è, per esempio, una delle tecniche usate dalla Romanazzi.

Hai bisogno di un mental coach?

Dipende chiaramente dagli obiettivi che ti poni. Se sono molto sfidanti dal punto di vista agonistico o personale è giusto valutare il ricorso a servizi del genere. Se per te la corsa è invece un modo risolutivo di per sé di stress e fatica mentale il suo valore terapeutico è sufficiente.

Se decidi invece che può esserti utile, è giusto intenderlo come parte integrante dell’allenamento, non come un espediente a cui si ricorre quando si incontrano blocchi mentali. È un po’ come farsi assistere da un fisioterapista solo quando si incorre in un infortunio, non avendo mai lavorato prima con allenamenti e preparazioni mirate a evitare in primo luogo l’infortunio.
Del resto non si tratta nemmeno di professionisti che intervengono in breve tempo risolvendo questioni complesse: la loro assistenza deve essere continua e puntuale per garantire un risultato profondo e duraturo.

In futuro il mental coach sarà normale

Non è detto che avvenga nel giro di pochi anni ma, come spesso accade, quando cambia la narrazione cambiano anche le menti. Che il mental coach non sia più visto come uno psicologo (cosa che, ripeto, non è e no nè mai stato) o come una figura a cui ricorrere per sistemare qualche questione psicologica è un inizio. Il futuro prossimo è senz’altro il tempo in cui sempre più atleti ricorreranno all’assistenza di questa figura professionale per migliorare le proprie prestazioni, considerando semplicemente normale e utile farlo.
In un futuro meno prossimo è prevedibile che il mental coach diventi anche per l’amatore e l’amatrice un altro tipo di allenatore: quello che a prescindere dalle ambizioni sportive, aiuta a esprimere il massimo potenziale. Di chiunque.

(Credits immagine principale: Londondeposit on DepositPhotos.com)

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