Nel 1979 a New York si è corsa una maratona che non proprio tutti conoscono.
Intendiamoci: non sto parlando della gara vinta da Bill Russell, tra l’altro al suo quarto successo di fila nella maratona della Grande Mela. La gara che voglio raccontarvi si è percorsa di notte, non aveva la segnaletica che di solito troviamo lungo il percorso (anche la distanza è stata piuttosto approssimativa rispetto ai rigorosi quarantadue chilometri e centonovantacinque metri), non c’era un pubblico ad applaudire e i partecipanti erano soltanto nove. Sei di loro hanno raggiunto il traguardo, due sono morti e uno è stato arrestato.
Ancora oggi è considerata una delle corse più pericolose della storia e anche uno dei film più importanti della Nuova Hollywood.
L’avventura di The Warriors (meglio conosciuto in Italia con il titolo I guerrieri della notte) nasce dall’omonimo romanzo di Sol Yurick ed è diventata popolare grazie allo stupendo adattamento di Walter Hill, oltre che alle numerose problematiche sopraggiunte durante le riprese a New York.
Intanto, la storia
In un parco del Bronx viene convocato un raduno tra tutte le bande giovanili che controllano i quartieri newyorkesi, lo scopo è quello di superare ogni rivalità e unirsi contro l’autorità della polizia. Questa è la visione di Cyrus, leader dei Riffs che prende la parola raccogliendo il consenso di quasi tutti i presenti. Alcune bande, però, non vedono di buon occhio lo spirito unitario di Cyrus che, giunto al culmine del suo discorso, viene ammazzato da alcuni colpi di pistola. Gli autori dell’omicidio approfittano della confusione per incolpare i “Guerrieri”, una banda di Coney Island giunta sul posto con una delegazione di nove componenti e costretta subito a darsi alla fuga. Dal Bronx alla spiaggia di Coney Island ci sono quarantacinque chilometri, praticamente bisogna spaccare in due New York con tutte le bande pronte a vendicare l’assassinio di Cyrus. È una caccia all’uomo, una frenetica corsa nel cuore della notte dove ogni quartiere attraversato si presenta come un campo minato.
Su queste premesse, Walter Hill disegna uno dei più bei film d’azione girati in quel periodo, in grado di resistere agli anni grazie a un concentrato di ritmo, immaginazione e stile (per maggiori informazioni, citofonare ai costumisti Bobbie Mannix e Mary Ellen Winston).
A rendere così potente The Warriors è il concetto di fuga che si mescola all’ingiustizia nella quale vengono catapultati i protagonisti. La corsa diventa l’unica speranza per sopravvivere in una città impazzita. C’è tanta violenza, ma non è un film “sulla” violenza in stile Arancia Meccanica. Walter Hill, infatti, adotta un approccio più fumettistico, andando a proporre con largo anticipo degli schemi narrativi tipici dei videogame che verranno, con un occhio di riguardo verso aspetti come la lealtà, il sacrificio verso il gruppo e l’importanza del carisma.
Le scazzottate sono solo parte del viaggio e, quando arrivano, si mostrano come veri gioielli cinematografici: quanto è bella la scena della lotta nel bagno pubblico contro i Punks? Cinque minuti di regia sublime ottenuti grazie a un duro sforzo della troupe (nelle interviste agli attori si parla di oltre sessanta ore di lavorazione necessarie spalmate su cinque giorni di fila).
Invenzione o realismo?
Il film ha anche avuto il pregio di raccontare il sottobosco di microcriminalità che in quel periodo imprigionava numerose aree di New York, spesso off limits anche per le forze dell’ordine. Proprio durante le riprese la troupe di Walter Hill ha passato parecchi guai entrando in contatto con le vere gang di diversi quartieri: nel migliore dei casi venivano avanzate pretese per comparire in alcune scene del film (sono tante le comparse prese dalle bande cittadine) e nel peggiore i ciak esterni diventavano il pretesto per darsi appuntamento e scatenare delle risse, lanciare mattoni sulle attrezzature e far arrivare lettere minatorie alla troupe. Tutti aspetti che convinsero i produttori a ingaggiare dei veri criminali come servizio d’ordine alla modica cifra di 50 dollari giornalieri a testa, oltre ai diversi poliziotti in borghese che già si aggiravano nei dintorni.
Giusto per non farsi mancare nulla, Walter Hill fu costretto a tagliare un’intera sequenza dei Guerrieri in fuga nel Bronx perché sul posto, solo qualche giorno prima, si era consumato un duplice omicidio.
Alcuni hanno considerato il film estremo in tanti suoi aspetti, quasi un’esagerazione della violenza. Molti sono arrivati addirittura a inserire The Warriors nell’elenco dei film distopici. Eppure la cronaca attorno alle riprese del film ci dice altro: Walter Hill si è trovato a dover gestire problemi reali che di fatto stava già filmando, ottenendo così una New York nascosta, sporca e maledettamente autentica.
Gli anni Novanta, dominati dall’imponente politica di repressione criminale portata avanti dal sindaco Rudy Giuliani, sono ancora lontani.
Inossidabili guerrieri
The Warriors, inoltre, gode di una fanbase che non solo resiste negli anni, ma continua ad affascinare generazioni diverse. Tanti appassionati ancora oggi visitano il parco del Bronx e la spiaggia di Coney Island, addirittura c’è chi prova a ripercorrere (in metro) la strada di quella fatidica notte.
A qualcuno sarà anche scappato un brivido quando nel 2018 parte del cast si è data appuntamento al Bronx, con tanto di gilet di pelle originale, per un’inaspettata reunion dove i capelli bianchi e qualche chilo in più non hanno alterato il fascino del gruppo.
«Qualche volta mi domando se questo è un film o una maratona», è stata una frase detta dall’attore Marcelino Sanchez (Rembrandt nel film) durante un’intervista.
Forse la verità sta nel mezzo. Non è un film, non è una maratona.
È New York.
Andrea Martina
(Credits immagine principale: The Warriors Film)