Ti abbiamo spesso parlato di come intendiamo la corsa: è un divertimento, la competizione è solo con se stessi, è comunque uno sport in cui è folle (anche statisticamente) pensare di poter vincere qualcosa ecc.
Faccio tutte queste premesse anche per sottolineare una cosa che ritengo altrettanto fondamentale: è giusto che sia celebrato chi vince una gara ed è giusto che emerga fra tutti, non diluendo e disperdendo il suo sforzo in un mare di premi di partecipazione e di “in fondo l’importante è esserci”. Partecipare è una cosa (bellissima) e vincere un’altra e devono essere celebrate in modi diversi.
Ciononostante trovo che ci sia una grandissima mancanza in tutte le gare, e cioè il premio all’ultimo o all’ultima arrivata.
Voglio dire: la nostra cultura ipercompetitiva porta giustamente a esaltare chi ottiene risultati straordinari e, all’opposto, a considerare poco, ignorare o anche – sbagliatissimo – deridere chi arriva ultimo.
E se ci sono primi premi e riconoscimenti di partecipazione per tutti, non si capisce davvero perché non vi sia alcun tributo per chi è arrivato ultimo.
Diciamolo molto chiaramente e seriamente: chi arriva per ultimo è il vincitore o la vincitrice in resistenza. Non è una battuta, pensaci un po’: le gare di corsa sono competizioni di velocità almeno tanto quanto lo sono di resistenza. Chi le vince ha resistito per il minor tempo possibile al massimo sforzo (ed è comunque un risultato straordinario, s’intende), mentre chi arriva ultimo ha resistito al massimo sforzo che riesce a esprimere più a lungo.
Ora potrai pensare che lo dica anche per interesse personale o perché non sono mai stato ne sarò mai uno dei più veloci (e nemmeno uno dei mediamente veloci) ma questa è una sfida che merita di essere combattuta, perché ogni gara dovrebbe prevedere un premio per gli ultimi, perché se lo meritano, eccome.
Mostrare sulla strada la propria determinazione è encomiabile e mostrarla più a lungo di tutti gli altri lo è altrettanto.
È un premio a chi stringe i denti più a lungo degli altri, è un premio che gli ultimi – anche non solo biblicamente – si meritano. Per essere riconosciuti indiscutibilmente come i primi.
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