Comunque la si veda, anche il mondo del running sta subendo gli effetti del cambiamento climatico. Si può essere d’accordo o meno sulle cause ma gli effetti sono evidenti, specie in molte gare internazionali. Ormai non è più questione di percezione personale: la maratona delle Olimpiadi di Tokyo 2020(21) è stata corsa a 400 km dalla capitale per il caldo eccessivo; in una ultramaratona in Cina sono morti più di 21 runner; l’inquinamento atmosferico è considerato responsabile di almeno 8,7 milioni di morti all’anno. Anche in Italia abbiamo assistito a gare condotte ai limiti e oltre dell’umana resistenza, con conseguenti malori per l’eccesso di caldo.
Damian Hall fa parte di un gruppo di runner particolarmente sensibili alla questione. Il loro nome è – per sua stessa ammissione – non molto originale: si chiamano The Green Runners.
Siccome fra di loro contano scienziati e professionisti, non si sono limitati a dotarsi di una maglietta col loro nome (anzi! Uno dei gruppi che ha portato alla formazione dei Green Runners si chiama “Trees Not Tees” e cioè “Alberi, non magliette”) ma hanno elaborato un programma di azione basato su quelli che loro stessi chiamano “I Quattro Pilastri”. Rispettandoli, vivendo e correndo con queste regole in mente, secondo loro, si può fare qualcosa e incidere nella lotta al cambiamento climatico. Magari non arrestandolo ma almeno rallentandolo.
Vediamo quali sono, così come le racconta Damian stesso su Trail Running.
1. Trasporti
Correre e fare gare è indubbiamente un modo per viaggiare e tanti mettono insieme il piacere del viaggio con quello della competizione. Damian e il suo gruppo suggeriscono però di limitarsi a gare locali o che prevedano spostamenti limitati, da effettuarsi magari in bici o in treno.
Le gare transoceaniche o così distanti da richiedere l’uso di trasporto aereo sono quindi da evitare.
2. Alimentazione
Il discorso in merito è molto razionale e pratico: gli allevamenti animali hanno un impatto devastante, sia che si tratti di carne da alimentazione che di prodotti caseari e freschi.
Eppure i runner hanno bisogno di proteine, no? Ci sono moltissime alternative vegetariane e vegane e su Runlovers ne puoi trovare svariate, basta entrare nella cucina di Iaia!
In merito mi permetto di aggiungere il mio punto di vista: esistono pur sempre sfumature intermedie. Non tutti siamo/sono pronti ad abbandonare la carne da un giorno all’altro. Quello che possiamo però fare è limitarne l’utilizzo al più a un paio di pasti alla settimana, sostituendola con legumi e cereali, dei quali siamo particolarmente ghiotti. O, come consiglia Damian, consumando carni che hanno un impatto minore, come l’agnello, il maiale o il pollo.
Considera comunque che, secondo gli esperti, passare a una dieta totalmente vegetariana può ridurre la tua impronta ambientale fino al 73%. Puntiamo a quella percentuale ma magari arriviamoci per gradi, che ne dici?
3. Abbigliamento
“Tutte le scarpe da running prodotte nella storia sono ancora sul pianeta Terra e probabilmente vivranno dieci volte più di noi” dice il co-fondatore di ReRun Clothing Dan Lawson. Quello che intende è che le scarpe o l’abbigliamento con cui ci alleniamo sono fatti di materiali che hanno un impatto pesantissimo sull’ambiente, sia in fase di produzione che di distribuzione e infine di smaltimento.
Come affrontare il problema? Innanziutto superando il mito della durata delle scarpe limitata ai 5-600 Km e poi privilegiando abbigliamento di qualità da comprare in numero contenuto e da usare fino alla fine. Facendo al contempo pressione sulle aziende perché adottino politiche di riciclo serie e attivino piani di rigenerazione per l’abbigliamento e le scarpe (come Patagonia fa da tempo, o come fa per le scarpe, per esempio, l’italiana La Sportiva).
4. Parliamone, parlatene
Damian è consapevole del fatto che alcuni – se non tutti – questi tre “pilastri” del runner eco-consapevole non sono facili da scalare contemporaneamente. Non si tratta però di un programma efficace solo se realizzato nella sua totalità: lo si può affrontare anche per parti, quanto meno quelle che ci riesce più facile e naturale fare. Diventare parzialmente vegani? Forse. Viaggiare meno con mezzi inquinanti? Parliamone. Comprare meno abbigliamento o meno scarpe, privilegiando i brand che hanno davvero una coscienza ambientale? Si può fare.
L’importante – e questo è il quarto pilastro – parlarne, esserne consapevoli e far sentire la propria voce in modo da farsi sentire da chi produce. Lo strumento che i consumatori hanno in mano è quello del mercato: se certi prodotti non vengono più acquistati smettono di essere prodotti. Se certe aziende hanno una pessima reputazione ambientale prima o poi ne subiranno le conseguenze, specie oggi e con la consapevolezza ambientale che si diffonde sempre di più.
E quella non inquina e non fa male all’ambiente. Anzi.
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