La corsa è un’attività di endurance: si basa sulla capacità di resistere per un tempo prolungato e sostenendo velocità e sforzi non usuali. Puoi camminare per molte ore ma non puoi correre molte ore se non hai affrontato una preparazione adeguata per riuscirci.
Come tutte le attività di questo genere – e chi corre lo sa bene – mentre corri non è inusuale raggiungere e anche superare la soglia del dolore. Magari non succede se corri 10km (per quanto possa succederti anche su brevi distanze se non hai mai corso prima) ma più la distanza si allunga, più è probabile che il dolore sia il tuo principale compagno di avventura.
Non uso il termine “compagno” a caso, e capirai fra poco perché. Per ora pensa al fatto che “compagno” indica giù un rapporto particolare: con chi ti accompagna durante una corsa devi cercare una relazione, un dialogo. In altre parole: è meglio fartelo amico.
Il grande Scott Jurek dice che “Il dolore fa solo male”. Penserai “Beh, ovvio” ma se ci pensi non lo è poi tanto e non è l’interpretazione che si dà normalmente del dolore, che è comunemente letto come un segnale che il corpo manda al cervello invitandolo a smettere di fare qualcosa. Ciò che intende Jurek è invece più sottile: ciò che fa il dolore è provocare male ma lì si ferma il suo potere. Il dolore, in altre parole, non ha la capacità di farti altro che male. Quindi, in altri termini, non può fermarti.
Coach Matt Fitzgerald su Outside spiega bene come gestirlo e superarlo.
Accettazione e distacco
Le due strade principali che conducono alla gestione del dolore sono l’accettazione e il distacco.
L’accettazione è la constatazione dell’inevitabilità del dolore. Se corri a lungo e affronti prove estenuanti, devi mettere in conto di provare dolore. Per certi versi devi anticiparlo in modo da non farti trovare impreparato quando si manifesterà (e lo farà sicuramente).
Il distacco ha invece a che fare con la giusta distanza che devi mantenere dal dolore che proverai. Sai che arriverà, sai che provocherà affanno e sconforto ma puoi imparare a gestirlo come qualcosa che accade a qualcuno di diverso da te. Non è semplice razionalizzare un pensiero del genere e richiede la capacità di pensare a se stessi con un certo, appunto, distacco. Significa in altri termini essere capaci di separare la mente dal corpo, lasciando alla prima la capacità di osservare la sofferenza di quest’ultimo, senza esserne condizionata. In altre parole? Pensa quante volte hai smesso di correre perché il tuo corpo ti diceva che stava arrancando, mentre la tua mente avrebbe potuto proseguire.
Come metterlo in pratica
Questa era la parte teorica. Capisco però che, a questo punto, tu ti stia chiedendo come è possibile superare certi momenti difficili. Sappiamo che corpo e mente sono un tutt’uno e che la mente controlla il corpo ecc. ma come fare quando la mente non trova argomenti per convincere il corpo a continuare?
Ci sono i rimedi più intuitivi, tipo rallentare il passo e rilassarsi pensando che è solo una fase. Oppure esiste un approccio diverso che si basa sulla divisione delle sforzo che ti aspetta in sforzi più piccoli. Il detto africano dice “Come si mangia un elefante? Un boccone alla volta”. Si tratta insomma di cambiare prospettiva e non pensare più a quanto ti resta da correre come a un tutt’uno: bisogna suddividerlo in distanze più brevi e, quindi, più gestibili. Invece che pensare “Devo ancora fare 15 chilometri” metti ogni singolo chilometro uno dietro l’altro. Un solo chilometro fa meno paura di 15 messi tutti assieme, non trovi?
Il metodo avanzato
C’è infine un modo di gestire il dolore che richiede più sforzo mentale. Presuppone la capacità di avere un grande potere inibitorio. Nel caso specifico ciò che viene inibito è la tentazione di mollare. Perché richiede più sforzo? Semplice: chi lo mette in pratica ha la forza mentale per collocare la soddisfazione alla fine dell’allenamento e della gara. In altre parole, non si corre per come si sta durante la corsa ma per come si sta dopo. Suona familiare? Quante volte non avevi voglia di farlo ma l’idea di come ti saresti sentito dopo ti ha motivato?
Il caso è simile, solo che è applicato durante lo sforzo fisico: il momento di affanno può essere superato insomma pensando alla gratificazione futura invece che alla tentazione di far smettere adesso il dolore.
Come avrai capito, un metodo simile richiede tanta forza di volontà e anche una discreta capacità di pensare su scala temporale. Quando si sta male si ha un solo pensiero, che finisca presto, che il dolore se ne vada. Quando si ha una visione temporale più ampia, si sa che il dolore è momentaneo e legato al presente e che la gratificazione arriverà, anche se dopo.
Come diceva il grande scrittore e maratoneta Murakami Haruki, “Il dolore è inevitabile, la sofferenza è opzionale”. Cosa significa? Che succede di stare male ma che, come sempre, conta come lo affronti: puoi decidere di darti per vinto e smettere, oppure puoi decidere di rielaborare il dolore, sopportandolo. Come sempre non conta ciò che ti capita ma come lo affronti.
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