Non ti dirò che se non hai ancora visto Ted Lasso devi porvi rimedio al più presto, perché nessuna serie televisiva ti sconvolge la vita o è necessaria. Però Ted Lasso te la può migliorare o rendere più leggera, questo sì, questo te lo devo dire.
Giunta alla seconda stagione (che si avvia alla conclusione venerdì 8 ottobre 2021), Ted Lasso è una serie disponibile solo su Apple TV+. Prende il nome dal suo protagonista, un allenatore di footbal americano che si trova ad allenare una squadra di calcio inglese che la proprietà vuole affondare. Si tratta di un meccanismo classico della narrazione che prepara tutte le trappole possibili perché il suo ruolo di allenatore si riveli un fiasco clamoroso. Perché tutto congiura in quel senso: di calcio “europeo” Ted non sa niente e la sua avventura nel vecchio continente è destinata a concludersi in maniera rovinosa. Se non che un elemento di questo racconto è Ted Lasso, ossia una variabile impazzita e incontenibile che scombinerà i piani di chi vuole condannare la squadra del AFC Richmond alla retrocessione.
La trama è prevedibilissima e l’avrai vista mille volte. Del resto, se si dovessero analizzare dal punto di vista degli intrecci, nelle storie – in qualsiasi storia – gli sviluppi possibili sono una manciata. Ma come sempre non conta (o non conta “solo”) la storia ma come viene raccontata. E avrai capito che gli autori e i registi di Ted Lasso la sanno raccontare molto bene.
Il ruolo dell’outsider
Il buon intreccio e la capacità di raccontare hanno decretato il suo successo e la cosa curiosa è che, a ben vedere, Ted Lasso non ha niente di particolarmente originale o innovativo: quante storie hai visto basate sull’azione di un personaggio fuori contesto? Quante sul mondo del calcio? Quanti cliché si ripetono, anche in questo caso? C’è la proprietaria della squadra di calcio, che, reduce da un divorzio con un marito fedifrago, vuole farla fallire per vendetta perché lui amava la squadra più di ogni altra cosa al mondo, ci sono i giocatori con personalità complesse e spesso insopportabili, altre volte semplicemente stupidi. Ci sono i tifosi stereotipati, chiassosi e ubriaconi. C’è il coach Ted Lasso, la perfetta rappresentazione dell’ottimismo americano impiantato nella vecchia Europa: una specie di inno al “We can do it” e la convinzione che con un sorriso e la buona dose di ottimismo si può affrontare e risolvere tutto.
Tutti sono protagonisti
Eppure Ted Lasso non è solo Ted Lasso. Non è una serie incentrata solo su di lui, ed è forse anche questo uno dei suoi punti di forza. Si tratta piuttosto di un racconto corale in cui i coprotagonisti riescono sempre, in qualche modo, a diventare protagonisti. È chiaramente l’atteggiamento di Ted a renderlo possibile, perché la sua presenza scombina le carte, cambia le prospettive e permette a chi gli gravita attorno di cambiare, rivelando la propria vera natura e non quella a cui i ruoli sociali l’hanno costretto.
Ecco, è come se Ted fosse un viaggiatore che da un altro mondo porta un messaggio preciso: si può essere se stessi, non si deve per forza rispettare uno stereotipo, non bisogna indossare sempre abiti che altri ti hanno messo addosso.
L’underdog
La storia di questa squadra di calcio e del suo allenatore è un classico esempio della parabola dell’”underdog”, cioè quella figura che appare defilata e su cui nessuno scommette, che a un certo punto ha uno scatto d’orgoglio e, magari aiutata dal destino, finisce per trionfare. Hai presente quell’atleta che sta nel gruppo di mezzo e che vede sempre quelli in testa con il binocolo e poi a un certo punto scatta e brucia tutti? O quella squadra che ha sempre abitato in fondo alla classifica che, sorprendentemente, a un certo punto riesce ad arrivare alle prime posizioni del campionato? Quella roba lì.
E cosa provoca in noi che lo guardiamo? Un’immedesimazione perfetta, a meno che tu non sia abituato a trionfare sempre e abbia sempre fatto parte del gruppo dei vincenti (buon per te allora!): l’orgoglio e il successo di chi non ha mai assaporato la vittoria aprono sempre piacevoli sguardi su un futuro alternativo: quello in cui tutti possiamo avere soffisfazioni e successo, basta volerlo. E non conta riuscirci o meno ma conta come lo fai. E qui sta l’ultimo, fondamentale segreto di Ted Lasso: la bontà.
La bontà è infatti la formula invincibile di Ted: magari non fa vincere il campionato ma cambia le persone, rivelando il loro lato migliore. E lui ne è campione, e non perché sia un animo semplice e banale: è nel pieno di una separazione, ha accettato un incarico senza averne le competenze, non è in una condizione di particolare serenità. Eppure riesce sempre a trovare qualcosa di positivo, riesce sempre a creare una connessione con le persone, rivelandole e facendole sentire a loro agio.
Credo che alla fine il suo vero segreto sia che Ted sa parlare alle persone e, facendolo, le fa sentire “viste”, forse anche amate. Se non altro fa capire a chi gli è attorno che ognuno, per lui, conta. E questo crea coesione in una squadra fatta troppo di individualità diffuse e poco di solidarietà.
Ted non affronta mai i problemi in maniera schematica, spiazza sempre un po’. Fa intravedere una via alternativa e fa pensare che il mondo sia anche buono.
La formula del successo di una squadra (e nella vita) non è solo la tecnica, la preparazione e i soldi ma soprattutto il dialogo, il rapporto umano, il riconoscersi fra simili come compagni di avventura e di vita.
Eppure riesce quasi sempre a farlo in maniera leggera e credibile: basare una storia su stereotipi così prevedibili può facilmente far scivolare verso l’autocompiacimento e l’esagerazione e invece gli autori (alcuni dei quali recitano anche, come – primo di tutti – Lasso stesso, interpretato da Jason Sudeikis, coach Beard e il mitico Roy Kent, forse uno dei personaggi migliori, burbero e scontroso ma alla fine buono) riescono sempre a restare in equilibrio fra leggerezza e profondità, facendoti credere che un altro mondo è possibile e che quella dell’AFC Richmond è una storia che potrebbe succedere davvero. E che è già successa.
(Cover: Apple TV+)
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