Il 23 gennaio scorso a Phoenix, in Arizona, Hoka One One ha organizzato un evento per la presentazione delle sue nuove Carbon X 2, e come già fatto in altre occasioni, c’è andata giù pesante. Ha predisposto infatti una corsa sulla distanza di 100 chilometri, con l’obiettivo, non nascosto, di abbattere il record attuale di Nao Kazami (6h09’14”) e – se possibile – correre sotto le sei ore questa distanza così iconica.
In periodo di Covid-19, la preparazione di un evento del genere è stata ovviamente maniacale e Hoka ha speso (in termini organizzativi, ma sicuramente anche economici) molto per la sicurezza sanitaria. Tutti i partecipanti, atleti, organizzatori ed accompagnatori, sono stati sottoposti a tampone molecolare e hanno passato alcuni giorni nella struttura messa a disposizione appositamente, per evitare qualsiasi possibile contatto con positivi dopo il controllo. A mio parere – che vale quel che vale – è l’unico modo serio al momento per organizzare un evento del genere. La gara si è svolta nel celeberrimo Arizona Motorport, su un percorso quasi completamente pianeggiante, da ripetere circa nove volte. Come nel caso del tentativo di Breaking2 sulla Maratona, sono stati reclutati pacers e sono state utilizzate tutte le tecnologie possibili per rendere più semplice la corsa, ma a differenza di quanto accaduto a Vienna, a Phoenix c’è stata vera gara, sia maschile che femminile. Sia chiaro, tutti i partecipanti ovviamente indossavano le nuove Carbon X 2 e sono sotto contratto con Hoka One One, ma non c’è stato un solo atleta contro il tempo, sebbene fosse chiaro a tutti che il tentativo di record fosse nelle mani (o nei piedi!) di Jim Walmsley, che anche nelle scorse edizioni aveva tentato l’attacco al record, riuscendo nel 2019 a riscrivere quello – non ufficiale – sulle 50 miglia in 4h50’07”.
A Phoenix, il trentunenne Walmsley, gioca in casa. È nato qui, conosce il percorso come le sue tasche e si è allenato con l’obiettivo di correre questa distanza e battere il record per tutto il 2020 e per parte del 2019, non ha alcuna intenzione di fare le cose con leggerezza. Si vede da subito, che è lui quello che deve tagliare il traguardo per primo, lo fa capire senza presunzione ma chiaramente a tutti, mettendosi appena dietro i pacers e seguendoli con una tecnica di corsa perfetta per tutta la parte di gara in cui saranno presenti (alcuni lasciano dopo 30, 40 o 50 km). Poi, come può sembrare ovvio quando parliamo di una distanza simile, c’è un momento in cui si trova da solo. Ha corso in prima posizione per novantacinque chilometri, gli mancano soltanto altri diciannove minuti (se riesce a tenere l’impressionante passo di 3’41” che ha tenuto finor) ed è fatta. Ma la stanchezza è tanta, ha un taglio sulla spalla ed è solo, il cielo si è rannuvolato e perde un po’ di vigore. Corre ancora bene, benissimo se pensiamo a quanta strada abbia già fatto, ma inizia a guardare troppo di frequente l’orologio e forse inizia a pensare che non ce la farà. Corre gli ultimi cinque chilometri a 3’50”, troppo lento. Termina i 100 chilometri in 6h09’26”.
È un tempo mostruoso, ma non basta. Non ce la fa per 11 secondi. Poco più di un secondo ogni dieci chilometri, e la cosa su cui avrà da pensare è che – purtroppo – li ha persi tutti negli ultimi cinque. Taglia il traguardo, si appoggia alla transenna e una donna gli poggia la testa sulla spalla. Non so chi sia, se un’organizzatrice, un’amica, moglie o chissà chi, ma è il momento che mi piace ricordare di questa corsa di cui ho seguito qualche spezzone, restando incollato agli ultimi chilometri sperando potesse farcela.
Per la mera cronaca, il secondo arrivato, Rajipaul Pennu, ha impiegato 6h28’31” (e forse preso dalla foga quasi non si è reso conto di essere arrivato e ha continuato a correre per qualche altra decina di metri) e il terzo, Kris Brown, 6h39’14”. Tra le donne, la vittoria è andata a Audrey Tanguy in 7h40’36” (molto lontana dalle 6h33’11” del record del mondo di Tomoe Abe), seconda posizione per Nicole Monette con 7h43’18” e terza per Courtney Olsen in 7h55’11”.
Walmsley (che ha anche caricato la corsa sul suo profilo Strava) ci proverà di nuovo, ne sono certo, magari per il lancio della Carbon X 3, perché atleti del genere non si accontentano e non si fermano mai.
E a me e te permettono di credere ancora che tutto sia possibile.