Non è passato nemmeno un mese dall’uscita della Nike Pegasus Trail 3 GTX e già ho preso molta più acqua di quanto sia disposto a sopportare.
L’evoluzione di questa scarpa è a mio avviso lenta ma continua, tanto che in poco più di un paio d’anni è già diventata un prodotto classico di Nike: la Pegasus Trail consolida ogni giorno di più il suo posizionamento tuttofare nel segmento offroad non troppo tecnico. Ma devo dire che più passa il tempo e più mi concedo di usarla anche su terreni molto aspri.
La versione GTX merita, una volta tanto, una recensione completa perché a questo giro Nike non si è limitata ad aggiungere una membrana – in GORE-TEX appunto – impermeabile, ma ha ripensato leggermente tutta la scarpa.
Appena la prendi in mano ti accorgi subito della ghetta, quella calzetta che trovi sul collo della scarpa. Ha lo scopo di avvolgere la caviglia ed evitare che eventuali schizzi d’acqua entrino da quella parte, rendendo poi di fatto vana l’impermeabilizzazione della tomaia. Questo accorgimento – seppure presente su tutta la gamma Pegasus Trail 2 – non è più presente nella versione “standard” della Pegasus Trail 3 e fa il suo ritorno esclusivamente sul modello GTX.
La seconda variante che ho notato mi ha reso subito felice perché mette una pezza (letteralmente) a un piccolo difetto del modello precedente. Sulla punta troviamo infatti una spalmata di materiale plastico, particolare mutuato dalle sorelle Wild Horse e Terra Kiger, il cui scopo è proteggere in maniera più efficace una zona in cui potenzialmente abbiamo una maggiore esposizione all’acqua: quando vedi una pozzanghera che fai, non ci vuoi entrare come un bambino?
Infine abbiamo un dettaglio pressoché invisibile ma interessante: se le Pegasus Trail 2 GTX erano protette da una membrana in GORE-TEX suddivisa in più parti, ora abbiamo una membrana unica. Oltre a contribuire alla miglior impermeabilità della scarpa, questo particolare rende la tomaia leggermente più strutturata e contenitiva.
Mettila ai piedi e godi
È una Pegasus Trail in tutto e per tutto. Quando la indossi la prima volta la comodità della schiuma React è impressionante: più che correre avresti voglia di poggiare i piedi sul divano, guardare Netflix e mangiare patatine (quelle rustiche, spesse e ondulate).
Appena inizi a correrci ti rendi conto di quanto l’intersuola ti protegga dalla maggior parte delle asperità: è sempre stata una scarpa dallo spirito corsaiolo e continua a dare il meglio di sé sulle strade bianche dove ti sembra di indossare una normalissima scarpa da running, particolarmente reattiva. In quei trail in cui poi ti tocca qualche chilometro di asfalto ti rendi conto di quanta differenza ci sia – nel bene e nel male – rispetto a scarpe più secche e più tecniche. Ho voluto appositamente testarla anche in città e posso dire con assoluta tranquillità che non c’è nulla di male a farci qualche uscita metropolitana, non la rovinerai.
La tomaia, completamente rivista, poi finalmente sorregge il piede a dovere, senza bloccarne i movimenti in alcun modo: è sicuramente il cambio di rotta che più ho apprezzato rispetto alla ver.2 (con cui peraltro corro tuttora).
Ok ma il GORE-TEX?
Non sono mai stato un sostenitore della scarpa impermeabile per il trail: tendenzialmente va bene per la pioggerella e per qualche pozzanghera, ma se la pioggia diventa incessante allora l’acqua entrerà comunque e a quel punto il tuo piede resterà bagnato fino alla fine. Ma le membrane GORE-TEX odierne sono molto più traspiranti rispetto a quelle di 2-3 anni fa e la Pegasus Trail 3 GTX – nonché il tuo piede – ne trae parecchio giovamento.
Ho preso parecchia acqua e sono rimaso all’asciutto per un paio d’ore, che credo possano bastare nel 90% dei casi. Quando poi l’acqua inevitabilmente entra (per fare un test come si deve sono entrato volutamente in un torrente fino alla caviglia) posso dire che il piede si è asciugato più in fretta di quanto pensassi. Chiaro, la tomaia resterà sempre meno traspirante di una scarpa non impermeabile, ma sono stati fatti decisamente grandi passi avanti al riguardo.
In un modello che impara dai suoi errori e migliora un pezzetto alla volta, il tasto dolente resta – purtroppo – sempre il grip della suola. Per carità, nessun reale intoppo sui terreni asciutti, anche con pendenze importanti. Ma appena appoggi il piede sulla roccia bagnata ti rendi conto che la stabilità è un’altra cosa: se lo posso accettare dal modello “estivo” mi sembra una mancanza forte nella variante prevista per le uscite fredde e umide.
Tuttavia su questo tema mi sento di spezzare una lancia a favore di Nike, perlomeno per quanto riguarda la mia crescita come trail runner: conoscendo i limiti della scarpa corro con molta più consapevolezza e cerco di prevenire qualsiasi rischio di scivolata. È un po’ come quando passi da una scarpa estremamente più strutturata a un modello più leggero e veloce che cede inevitabilmente punti sulla protezione e ti obbliga a imparare a correre meglio se non vuoi farti male.
Chiaramente questo non esime Nike dallo sviluppare una mescola più aderente: credo che sia l’unica cosa che gli manca per diventare la mia scarpa outdoor tuttofare preferita (in realtà lo è già, ma bisogna sempre puntare a migliorarsi).
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