Se cerchi nella Costituzione Italiana i termini “sport” o “movimento” non trovi alcun riscontro. È inutile cercare più a fondo, magari fra i sinonimi: non ve n’è traccia.
Lo sport, in altri termini, non esiste come valore fondante della convivenza civile e della cultura italiana.
Il perché è presto spiegato: quando entrò in vigore nel 1948 il ricordo del fascismo era ancora troppo vivido, soprattutto nelle sue applicazioni. Lo sport era infatti sempre stato uno strumento abilmente usato dal regime per aggregare, educare e plasmare i giovani. I Padri Costituenti, comprensibilmente, ne allontanarono il più possibile l’idea.
Da quel 1948 sono trascorsi 73 anni (la Costituzione porta come data di nascita il 1° gennaio 1948). Quasi 4 generazioni e tre volte e mezzo la durata del Fascismo. Forse è il caso di riparlare dell’importanza dello sport, elevandolo fino al ruolo di pilastro della nostra cultura.
La cultura del movimento
Si dice che la cultura è tutto ciò che ricordi quando hai dimenticato tutto il resto. La cultura è una specie di codice genetico, un’impronta che forma lo spirito delle persone e dei cittadini.
Lo sport in Italia è quanto di più distante dalla cultura si possa immaginare. Basti pensare a cosa viene in mente quando vi si pensa: al calcio o a qualche disciplina “minore” (che fastidio questa espressione) e poco altro. Difficilmente si pensa a una parte della cultura e della vita ma piuttosto a passioni e passatempi. Se in Italia definisci lo sport “cultura” – nel senso di parte integrante delle persone e della società – vieni visto come un marziano.
La cultura è un insieme di cose noiosissime che piacciono alle persone noiose.
O almeno così è intesa in Italia.
Se da un lato è comprensibile che lo sport non sia stato considerato valore fondante 73 anni fa, oggi non è più giustificabile.
Se si continua a trattarlo come una passione coltivata individualmente o rilevante economicamente solo e sempre quando si parla di calcio (e praticamente mai in altri casi) non si potrà mai sperare che venga riconosciuto come Mauro Berruto, ex-Ct della Nazionale di Pallavolo, ama definirlo: Cultura del Movimento.
A ben pensarci infatti, definendolo come parte della cultura gli si riconosce lo status di componente imprescindibile dell’individuo: quando ci si dimentica tutto non ci si dimentica lo spirito sportivo, il senso della competizione, la tensione al continuo miglioramento individuale, l’appartenza sana al gruppo, il rispetto dell’avversario, il superamento dell’egoismo individuale per il bene della collettività. Tutti valori molto poco attuali, così come lo è in genere parlare di valori, ormai.
Poco attuali? Davvero?
Torniamo per un attimo al lockdown: fin da subito venne impedito di svolgere attività sportiva, persino di giocare il campionato di calcio (inaudito in Italia). Vennero chiuse palestre, piscine, venne impedito anche di correre da soli per strada. Se molti di questi provvedimenti erano giustificati dall’emergenza, è anche chiaro che fra gli aspetti della vita civile lo sport e la cultura furono i primi a essere considerati sacrificabili (oltre alla scuola, che curiosamente comprende sia la cultura che lo sport). Ciò che per primo viene sacrificato è anche ciò di cui ci si può privare più facilmente. Tutto lo sport che non sia il calcio non è economicamente interessante e quindi è sacrificabile, punto.
Non importa ora, a posteriori, stabilire se fu una scelta giusta o meno. È più interessante constatare che vi furono poche remore a vietare alle persone di fare sport, anche quando la cautela era forse esagerata, ed esponendo chi osava correre anche solo nel cortile di casa o attorno al proprio isolato al linciaggio verbale e alla condanna sociale.
Noi, come RunLovers, decidemmo di non correre e così andò.
Che carte abbiamo in mano
Perché è così importante che lo sport sia un valore fondante del vivere civile? Perché insegna ad avere un rapporto sano con sé stessi e con gli altri. Perché permette di trovare un equilibrio individuale e pubblico.
Davvero: prima della vittoria, dei risultati, dei tempi e del valore economico (giustificato e ben venuto, ci mancherebbe), lo sport è un modo per vivere in armonia con sé stessi e con la comunità a cui si appartiene. È una bellissima cosa in senso pratico e pure astratto ed è soprattutto un valore culturale a cui qualsiasi società civile dovrebbe aspirare e sul quale fondarsi. Non a caso le Costituzioni dei paesi più avanzati parlano di sport esattamente in questi termini.
Non in Italia, purtroppo.
E se pensiamo che sia un bel valore ma non poi così tanto fondamentale, ripensiamoci. Lo sport significa persone più sane, con meno patologie fisiche e mentali: meno obesità, meno malattie cardiovascolari, meno depressione, più forza fisica e psicologica per affrontare le difficoltà della vita. In altri termini: cittadini più sani che non pesano sul Sistema Sanitario Nazionale, se vogliamo considerare l’onnipresente aspetto economico.
Quante volte hai pensato “Oggi è stata davvero una brutta giornata: per fortuna ora vado a correre”. Ebbene: lo sport ti ha aiutato a ritrovare il tuo punto di equilibrio e a superare un momento impegnativo. L’hai pensato in maniera naturale e automaticamente l’hai fatto: perché la cultura è un codice di comportamento, è parte del tuo modo di essere, è la cosa che ti ricordi quando hai dimenticato tutto il resto.
Non chiamiamolo più sport: chiamiamolo “Cultura del Movimento”.
È ora.
Caro Martino, permettimi il “tu” questo è il più grande articolo che ho mai letto negli anni su Runlovers.
Ti ringrazio per le tue parole, ringraziamento che sento ancora di più perché io sono uno che ha fatto dello sport il suo lavoro, puoi immaginare
come sia stato il mio ultimo anno, poi però leggi cose come queste e ti senti un po’ meno solo e pensi che nonostante tutto qualcosa di buono uscirà
anche da questo periodo leggermente complicato, diciamo così.
Grazie , con stima. Enrico.
Ciao Enrico, non sai che felicità che sia stato “letto” in questo modo. Per quanto ci era possibile abbiamo sempre parlato, ovviamente, del mondo dello sport in questo anno e passa, non dimenticando mai che non fa sport solo chi corre o lo pratica individualmente ma ci sono moltissime (milioni) persone che sono inattive o impossibilitate a praticare ciò che amano da più di un anno. E allora ci è parso che non stessimo più parlando di una pura passione ma di una cultura vera e propria, cioè qualcosa che ti cambia la visione del mondo e della vita. Quanto più si integra lo sport nella nostra vita tanto più non lo si intende come qualcosa di gradevole ma superfluo e tanto più si soffre quando non lo si può praticare. Un abbraccio!