Qualche settimana fa sono stato a teatro (non ci andavo da una vita) per vedere Perdifiato, uno spettacolo diretto da una mia cara amica (Laura Garau, attrice, regista e ottimista di natura) in cui l’interprete e scrittore dei testi Michele Vargiu racconta una storia di sport (gli ho rubato il titolo di questo articolo, mi perdoneranno, o almeno spero!). Non vorrei spoilerare niente dello spettacolo (se puoi vai a vederlo, è in calendario in diverse città d’Italia, merita davvero), per cui dirò solo che l’atmosfera e la recitazione ti fanno entrare talmente tanto nella storia che ti sembra davvero di viverla, e la protagonista diventa una tua amica, di quelle che sai che ce la faranno sempre, qualsiasi cosa succeda loro. È una storia di provincia, della provincia Modenese per la precisione, di un paesino che si chiama Castelfranco Emilia, dove c’è una ragazzina che in piena notte pedala in giro per le strade bianche in sella alla sua bici. Bici che, in realtà non è proprio la sua, ma è di suo padre, che la utilizza per lavoro e non vorrebbe venisse presa in prestito – per di più di nascosto – da nessuno, perché serve per portare a casa la pagnotta, ed è bene che stia preservata il più possibile. Ma Alfonsina – così si chiama la protagonista di questa storia, Alfonsa Rosa Maria Morini, nota Alfonsina – disubbidisce molto spesso al volere dei genitori, perché lei vuole andare in bici e vuole partecipare alle gare. In quel periodo, però – siamo nei primi anni dello scorso secolo – andare in bicicletta è una cosa che le ragazze per bene non fanno, le gare poi, che sciocchezza! Quelle possono farle solo gli uomini, ovviamente.
Ma Alfonsina non ci sta, continua a prendere di nascosto la bici del padre, si allena di notte sgattaiolando fuori da casa, finge di andare a messa la domenica per andare invece a vedere prima, e a partecipare poi, nelle gare dei paesi vicini. Perché è appassionata, ovviamente, ma è soprattutto brava. E in quel periodo, con la tecnologia quasi paritaria tra bici “da lavoro” e bici “sportive”, anche con la sua bici vecchia e malandata riesce a stare al passo di molti, moltissimi uomini, e inizia anche a vincere qualche gara. Va davvero forte in bici, Alfonsina. Un giorno, uno di quelli in cui ha finto di andare a messa ed invece è andata a Reggio Emilia per partecipare ad una gara, vince un maialino. Che porta a casa fiera, e che fa iniziare a capire anche alla famiglia che forse qualche gara può farla, soprattutto se ci sono premi di questo tipo. E di gare serie comincia a farne e a vincerne molte. A vent’anni, a Moncalieri, stabilisce il record del mondo di velocità femminile, conquistando le prime pagine di tutti i giornali e diventando una piccola celebrità nel mondo dello sport, tanto da essere messa sotto contratto per partecipare a gare internazionali nei Vélodrome di Parigi.
A ventiquattro anni si sposa con Luigi Strada e ne prende il cognome (come consuetudine all’epoca, ma che segno del destino chiamarsi Strada per una che va in bici!) e per regalo di nozze riceve una bici da corsa, con cui inizia a mietere successi uno dopo l’altro. Nel 1917, per la prima volta nella storia della competizione, partecipa al Giro di Lombardia. Arriva ultima, ma arriva. L’anno successivo ci riprova. Penultima. La stampa, che prima rilasciava quasi solo commenti pungenti e maliziosi (che purtroppo vediamo anche oggi in certi casi, a cento e più anni di distanza) inizia ad appassionarsi alle sue imprese. Nel 1924 si ritrova, per vicissitudini familiari, a dover condurre da sola la famiglia e decide di iscriversi al Giro d’Italia. Non c’è alcuna norma che lo vieti, e la sua iscrizione viene accettata. Parte e per le prime sette tappe riesce sempre ad arrivare entro i limiti di tempo, addirittura in penultima e non ultima posizione, come avevano previsto da subito i giornali, ma all’ottava tappa, in Umbria, cede e sfora il tempo massimo consentito. Viene pertanto estromessa dalla classifica, ma la popolarità che ha raggiunto e le pressanti richieste del pubblico (tra cui anche il Re Vittorio Emanuele III) fanno sì che le sia consentito partecipare comunque alla corsa, sebbene non più in competizione. Completa tutte le tappe e arriva al traguardo, prima e unica donna ad aver partecipato al Giro d’Italia in gara con gli uomini. Dopo di lei nessun’altra, perché siamo ancora negli anni ’20 dello scorso secolo e l’Italia – il mondo – non sono ancora pronti per la parità di genere.
Sono passati quasi cento anni da quando questa storia si è svolta e Alfonsina Strada ha ispirato centinaia di donne e uomini, aiutandoli con l’esempio della sua caparbietà a raggiungere i propri obiettivi – o quantomeno provare a farlo. L’ultimo libro che ha ispirato, tra le decine che raccontano la sua storia, è quello di Linda Ronzoni e Silvia Gottardi, Cicliste per caso. Se non ti basta quanto hai letto fin qui su di lei e vuoi conoscere un po’ di più della sua storia, prova a fare un po’ di chiamate alle librerie della tua zona e vedere se lo hanno disponibile, altrimenti puoi acquistarlo qui.
Buona lettura e buona visione dello spettacolo teatrale!