Le scarpe da running e la sostenibilità

Vuoi correre in modo il più possibile responsabile ed ecologico? Ecco alcune scarpe che fanno per te

Partiamo da una constatazione: guardando una scarpa da running – quasi qualsiasi scarpa da running – ci si può stupire per l’elevato grado di sofisticazione tecnologica raggiunto o se ne può apprezzare il design ma difficilmente la prima cosa che ci viene in mente è che possa anche essere sostenibile.

Cosa si intende innanzitutto per sostenibile? Che abbia impatto nullo o molto limitato sull’ambiente, parlando ovviamente di sostenibilità ambientale. Chiariamo subito un altro aspetto fondamentale: la sostenibilità non si limita all’oggetto scarpa in sé ma anche a come viene prodotto, trasportato, usato (da te) e poi smaltito. È quello che si chiama “ciclo di vita di un prodotto”: quanto più contenuta è l’impronta ambientale di un prodotto industriale, tanto più lo si può considerare sostenibile.

Ritorniamo alla nostra scarpa: la tomaia è in mesh di chiara derivazione plastica o, quando è realizzata in una tela tessuta, non tradisce mai la sua origine non propriamente naturale. A loro volta, le schiume dell’intersuola sono più elastiche che naturali.
Le nostre amate scarpe da running non sembrano precisamente le cose più ecologiche che usiamo per correre.

Questo è vero in gran parte ancora oggi e lo era di certo anni fa ma ultimamente bisogna fortunatamente registrare che sempre più aziende stanno dimostrandosi più sensibili all’aspetto ambientale e stanno studiando soluzioni alternative.

Gli esempi virtuosi

La svizzera On è una di queste: il suo modello Cyclon ha una tomaia realizzata in Ricinus Communis, volgarmente detto “ricino”. L’intersuola e la suola sono in PEBAX, un elastomero termoplastico interamente riciclabile., al 100% riciclabile e grazie al sistema di produzione usato per ottenere la schiuma ammortizzante ed energizzante, sono capaci di un ritorno di energia pari al 65%. Cioè comporta, anche grazie al fatto che le parti (tomaia e intersuola) sono unite a caldo, che per produrle non è usato alcun tipo di colla, rendendole di fatto riciclabili al 100%. e non lo si può possedere.

L’unico modo per averlo è sottoscrivere un abbonamento mensile che dà diritto ad averne un modello nuovo recapitato direttamente a casa dopo 600 km di utilizzo o comunque almeno due volte all’anno. Calcolatrice alla mano, fanno circa 180€ a paio, un prezzo assolutamente in linea con i modelli della concorrenza.

Ma On non è la sola: anche Salomon ha lanciato nell’aprile di quest’anno il progetto Index.02, una scarpa da running unisex che costa 200€ e che è composta da una tomaia in poliestere riciclato e da un’intersuola che, arrivata a fine vita, può essere sminuzzata e seppellita. Nella confezione, infine, c’è un tagliando per rispedire (gratuitamente) la scarpa ormai esaurita a diversi centri di raccolta che si occupano del suo riciclo.

Altro progetto interessante è quello di adidas chiamato FUTURECRAFT.FOOTPRINT, il primo modello sviluppato assieme ad Allbirds e che sarà disponibile al grande pubblico nella primavera del 2022, minimalista e con un impatto ambientale complessivo (produzione, imballaggio, trasporto e smaltimento) pari a meno di 3kg di CO2 per paio, cioè il 60% in meno di un modello tradizionale. adidas, va inoltre ricordato, è da anni una delle aziende più sensibili ai temi ambientali, a partire dalla sua collaborazione con Parley, grazie alla quale molti suoi prodotti sono creati utilizzando plastiche recuperate dagli oceani.

Come dicevo all’inizio, la sostenibilità di una scarpa non è però data solo dal suo essere riciclabile: è tutto il suo ciclo di vita a dover essere sostenibile. In questo senso l’approccio più completo e recente è quello di Brooks che, con le nuove Ghost 14, ha lanciato il suo primo modello in gran parte riciclabile che inaugura la strada che l’azienda americana ha intrapreso per arrivare a essere carbon neutral entro il 2030. Per farlo, oltre all’utilizzo di parti che contengono almeno il 30% di plastiche riciclate e altre provenienti da materiali interamente riciclati, Brooks vuole colmare l’inevitabile (per ora) impatto ambientale finanziando il ripopolamento boschivo, a compensazione dell’anidride carbonica sviluppata nei processi industriali, con la prospettiva di annullarlo del tutto.

Un futuro più responsabile

L’impegno da parte di molti brand pare esserci. È plausibile che molti altri, se il mercato si sensibilizzerà in quel senso, seguiranno il loro esempio. Una parte molto importante deve però essere fatta da noi: non solo scegliendo i prodotti in base alla loro sostenibilità ambientale ma anche partecipando attivamente al loro smaltimento. Il riciclo è infatti l’aspetto sul quale le aziende hanno meno – se non nessuno – potere: dal canto loro possono solo dimostrarsi disposte a ricevere le scarpe consumate e a riciclarle, ma la responsabilità di spedirle è tutta a carico nostro.

Le soluzioni, anche se parziali, ci sono e sempre di più ce ne saranno. In un futuro sempre più prossimo dovremo però condividire questa responsabilità con le aziende, non solo comprando e correndo con scarpe sostenibili ma anche smaltendole con criterio, grazie ai piani predisposti dai singoli brand.
Uno sforzo relativo per un obiettivo molto importante: far concludere in maniera sostenibile il ciclo di vita di una scarpa sostenibile. Chiudendo il cerchio, insomma.

(Parzialmente ispirato da “Can Running Shoes Become Sustainable?” su Triathlete)

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