Dicono che il carattere delle persone si formi già nei primi anni di vita. Se uno è remissivo lo si capisce subito, se uno è competitivo altrettanto. C’è però una differenza fra l’essere competitivi e l’essere vincenti. Nel primo caso si vuole eccellere sugli altri, nel secondo si vuole eccellere in senso assoluto. Si è insomma competitivi relativamente a un certo contesto (una gara, un gioco da bambini) ma essere vincenti significa avere una visione che supera la contingenza del momento e si espande a tutta la vita. Chi è competitivo spende le sue energie ora e qui per emergere, chi è vincente lo fa in maniera più strategica, pianificando il futuro, e quindi dandogli forma, o almeno provandoci.
Ti chiedo ora un piccolo sforzo: dimentica quell’odiosa espressione che hai sentito più volte citare da sgangherati motivatori e life coach: non parlo di *quella* mentalità vincente. Non parlo di quel desiderio di eccellere che non ha basi e che è solo un grido verso il destino, nella speranza che ascolti. La mente di un vincente è silenziosa e precisa e non deve gridare. Forse te la posso spiegare meglio con una storia. Anzi due.
Un tuffo e un campo da tennis
La racconta in una bellissima intervista di qualche giorno fa sul Corriere della Sera a Marco Imarisio Riccardo Piatti, allenatore dei più grandi tennisti e tenniste del mondo e in particolare di Jannik Sinner, la più grande promessa italiana nel settore in questi ultimi tempi (oltre che, alla data odierna, il numero 11 al mondo secondo la classifica ATP).
Piatti racconta di essersi accorto molto presto che Sinner aveva la mente di un vincente. Quando iniziò ad allenarlo aveva solo 13 anni ed era allo stage estivo che ogni anno Piatti tiene all’isola d’Elba. Il ragazzo, altoatesino d’origine, aveva poca dimestichezza con l’acqua, eppure quando andò a fare un bagno con gli altri ragazzi dell’accademia si tuffò completando un giro della morte. “Quando riemerse, tutti gli chiesero come ci era riuscito. Rispose che quando era in aria aveva pensato di fare due capriole consecutive, così una almeno l’avrebbe fatta per forza. Aveva già la testa del vero sportivo”.
Ecco, in un semplice aneddoto, la mentalità del vincente: il corpo e la predisposizione lo aiutano ma la mente e la visione che riesce a creare danno forma alla realtà.
Fisicamente Sinner sarebbe comunque riuscito a fare quel tuffo con salto mortale ma non l’aveva mai fatto, né sapeva se ci sarebbe riuscito. Per avere un po’ di margine di sicurezza alzò il livello della sfida già nella sua testa: lo scopo era fare un doppio salto mortale, così almeno uno sarebbe riuscito. In quest’ottica potrebbe sembrare che la sfida con se stesso l’abbia persa, ma ricordati che il fallimento sarebbe stato non farne nemmeno uno.
Questo è un atteggiamento del vincente: esigere di più da se stessi per essere pronti a qualsiasi situazione, anche a quella che, ragionevolmente, non si può superare con le risorse a disposizione. Eppure, se in un caso limite come quello lui avesse pensato che già farne uno era tanto, non sarebbe riuscito a fare nemmeno quello.
C’è poi un altro racconto che Piatti fa. Riguarda Maria Sharapova: “Mi chiamò da Londra – racconta Piatti – per chiedermi di lavorare con lei. Le dissi che sarebbe dovuta venire all’Elba, dove facevo il campo estivo. Arrivò in elicottero. Avevo prenotato l’unico campo disponibile a quell’ora, come in qualunque circolo. Era un terreno in cemento, spelacchiato, con qualche buco. Temevo la sua reazione. Invece si guardò intorno, e disse che se avesse giocato bene qui, lo avrebbe fatto in qualunque posto del mondo. E cominciammo. Così ragionano i campioni”.
I campioni – i vincenti insomma – non solo misurano lo sforzo su dimensioni superiori a quanto gli sia richiesto ma riescono sempre a vedere il lato positivo di ogni situazione. Era un campo indegno della Sharapova quello in cui si era trovata ad allenarsi? No: era un campo che la sfidava a dare ancora più di se stessa. Se riusciva a giocare bene in condizione di disagio sarebbe riuscita a farlo ancora meglio quando fosse stata a proprio agio.
Emerge anche una terza caratteristica dei vincenti: l’estrema focalizzazione, la capacità di concentrarsi come dei raggi laser su qualcosa di specifico: fare un doppio salto mortale per Sinner o giocare in un campo malandato per la Sharapova. Riuscirci nonostante tutto o almeno provarci.
Cosa possiamo imparare da loro
Non tutti possono essere campioni. Campione poi è colui che eccelle sul campo, colui che emerge. Pochissimi possono esserlo. Si può però prendere ispirazione da loro, si può cercare di immaginare come si comporterebbe un campione nella situazione in cui ci troviamo: giocherebbe in difesa, minimizzando lo sforzo? No, è probabile che darebbe il massimo mentre nella sua testa si prepara a dare oltre il massimo. Si farebbe influenzare da fattori esterni, come un campo malandato o il maltempo? No: penserebbe che se riesce a dare il massimo in condizioni sfavorevoli riuscirà ancora meglio quando ogni cosa sarà perfetta.
Sprecherebbe energie pensando che non tutto – anzi niente! – va come si aspettava? No: le concentrerebbe solo nel focalizzare il suo sforzo all’espressione massima delle sue capacità in una condizione avversa.
Per questo è bello veder vincere la propria squadra ma è ancora più bello quando lo fa dovendo rimontare un risultato sfavorevole. Così come è bellissimo vedere vincere chi rimonta dopo una corsa in secondo piano ed emerge dal gruppo di mezzo, o chi, nel gruppo di testa, sta sempre un po’ indietro e pare non essere mai abbastanza, salvo esplodere nel finale.
Il campione è chi ci crede fino alla fine, perché quella fine l’ha vista prima ancora: con la sua visione, con la generosità del suo gesto, con la mentalità. Quella giusta, vincente.
(Credits immagine principale: ArturVerkhovetskiy)