La foresta degli eucalipti

Siamo molto felici di ospitare una serie di post di Stefano Pampuro che parlano di una splendida avventura che ha vissuto nell’Africa dei runner. 

Nel gennaio 2020 Stefano ha sentito l’esigenza di intraprendere una nuova avventura in Africa, nella culla del running, allenandosi sugli altopiani del Kenya e dell’Etiopia insieme ad alcuni degli atleti più forti al mondo. Un’esperienza che gli ha fatto toccare da vicino i drammi di un continente che fatica a rialzarsi, nella cornice dell’epidemia più grave degli ultimi cent’anni. Da questa esperienza è nato un libro: Oltre il confine. Viaggio verso il cuore della corsa. Il libro è uscito il 29 aprile e lo puoi acquistare su Amazon.

Buona lettura!

Devo sforzarmi per tenere il passo di Efrem, appena mi distraggo un attimo mi mangia subito un metro. Stiamo correndo da venti minuti ma ho già il fiato pesante e ogni minima accelerazione mi costa cara.

Ci siamo lasciati da poco Bekoji alle spalle e la strada asfaltata ci sta portando poco a poco verso una campagna circondata da prati immensi che si estendono senza una fine. Ogni tanto il verde dell’erba si infrange nella terra scurissima di un campo coltivato, altre volte invece prosegue senza ostacoli in direzione dell’orizzonte.

Più ci allontaniamo dal centro abitato più il numero di case in mattoni diminuisce e cresce invece quello delle costruzioni in paglia e fango. Alcune sembrano così fragili da poter crollare da un momento all’altro, e invece chissà da quanto sono lì, a far la guardia a quegli spazi interminabili. Corriamo uno a fianco all’altro senza dire una parola, ogni tanto un camion ci passa accanto sollevando una nuvola di polvere, a parte questo siamo circondati dal niente. Sarei tentato di chiedergli quando arriveremo alla famosa foresta degli eucalipti ma ieri ci ho messo un’ora per capire quanti anni avesse, quindi non credo che mi capirebbe molto facilmente.

Chissà a che pensa. Chi lo sa? Ogni tanto questo ragazzo assume un’espressione cupa che non riesco a decifrare. In fondo non so praticamente niente di lui, a parte che gli piacciono i computer e l’informatica.

Mi piacerebbe poterci fare due parole, anche semplici, ma per ora mi devo preoccupare di non scoppiare. Al passaggio del terzo chilometro la strada comincia a inarcarsi verso l’altro ma per fortuna Efrem mi fa cenno di svoltare a sinistra, verso un bosco al di là di un ruscello.

Il ragazzo da un’occhiata al cronometro poi aumenta lievemente l’andatura facendomi cenno di seguirlo e in un istante siamo circondati dagli alberi e da un odore che ci catapulta in un’altra dimensione. Così è questa la famosa foresta degli eucalipti dove ha iniziato a correre il grande Kenenisa Bekele.

È una foresta gigantesca, non ne vedo la fine ma anche il suono è qualcosa di surreale che non sembra appartenere a questo mondo. Chissà quante decine, anzi centinaia di chilometri avrà macinato su e giù per questa foresta il giovane Kenenisa, quando nessuno ancora lo conosceva e solo il coach Senteyu aveva capito di che pasta fosse fatto. Quasi sicuramente avrà corso proprio dove lo sto facendo io, tra questi rami secchi e questi fili d’erba sotto i miei piedi. Le foreste sono dei luoghi dove lo spazio si dilata togliendoti il senso dell’orientamento. Ormai ci siamo inoltrati talmente dentro che non saprei tornare indietro da solo. Poco male, adesso l’unica cosa che conti è non farmi staccare.

Con la coda dell’occhio vedo che sta leggendo il cronometro poi di colpo incrocia il mio sguardo e urla “go!”. Partiamo, lui davanti e io dietro. L’etiope comincia a saltare tra un albero e l’altro come in un gran slalom di sci. I primi cinque o sei li supero senza problemi, anzi sono quasi sollevato perché riduciamo la velocità, ma al decimo esplode un allungo che per poco non mi lascia sul posto. È così che scopro, a mie spese, che il famoso allenamento nella foresta degli eucalipti sia in realtà un gioco di slalom ed allunghi improvvisi.

Allunghi così aggressivi da tagliarmi letteralmente le gambe, e al quarto ho il cuore talmente fuori giri che l’acido lattico mi esce dalla bocca. E intanto Efrem va, non ne vuol sapere di fermarsi, e io non ho la minima idea di quanto duri questo supplizio. Stiamo correndo da quaranta minuti e non c’è anima viva attorno a noi, solo il profumo degli eucalipti e il mio respiro affannato. Devo impegnarmi al massimo per non perdere il contatto, e mentre provo a seguire la sua scia cercando di non inciampare su qualche radice ho come l’impressione di morire. Questo ragazzo sarà pure un “beginner” come ripete sempre Senteyu, ma è comunque un beginner di tutto rispetto.

Il mio gps indica sette chilometri ma tre li abbiamo impiegati per arrivare fin qui, quindi se gli alberi non hanno fatto perdere il segnale dovremmo essere sul punto di finire, o almeno spero perché sono al limite. Ho giusto ancora le energie per reggere altri due allunghi, poi fortunatamente rallenta leggermente e si ferma di colpo. Non avrei resistito altri cento metri. Cerco di rimettermi in posizione eretta ma non riesco a staccare le mani dalle ginocchia. Correre a questa altitudine ti toglie letteralmente l’ossigeno di bocca consumandoti come una candela. Pure Efrem è stanco, non mi serve vederlo, mi basta sentire il suo fiatone per capirlo. Lui a quest’aria rarefatta c’è abituato, i suoi polmoni la respirano da quando era bambino, mentre i miei assaggiavano quella profumata di salsedine a due passi dal mare. Correre spesso può essere atroce.

Camminiamo fino a un fazzoletto di terra illuminato dal sole dove cominciamo a eseguire qualche esercizio di allungamento. Attorno a noi intanto la quiete della foresta si è impossessata di tutto e il vento è poco più che un sussurro tra le fronte degli eucalipti.

La mia lepre mima un gesto nell’aria, poi pronuncia il nome di Bekele.

Penso voglia dirmi che Kenenisa si allenava qui tanti anni fa.

– Faceva lo slalom tra gli alberi?- gli chiedo servendomi delle mani. Lui annuisce con il capo.

In fondo quello che stiamo calpestando è un luogo ricco di storia.

Una storia che un giovane predestinato di nome Kenenisa cominciò a scrivere tanti anni fa proprio nel silenzio di questa foresta.

(Credit immagine principale: betochagas on DepositPhotos.com. Le altre immagini sono dell’autore)

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