Julie Moss: i 15 passi che crearono la leggenda

Da studentessa a icona del triathlon

Nel 1982 Julie Moss ha 23 anni e frequenta l’ultimo anno della Cal Poly, la California Polytechnic State University a San Luis Obispo, nella California centrale. È una ragazza come tante, la classica ragazza che potresti incontrare su una spiaggia di Santa Monica: bionda, sorriso smagliante, pelle ambrata di chi sta molto all’aria aperta. Pratica sport – ha corso anche due maratone – ma non solo running… a Julie piace fare surf, pattinare. Ama muoversi tanto da aver scelto di studiare fisiologia. E proprio di fisiologia del movimento vorrebbe parlare nella sua tesi. Ma non solo scrivendone a riguardo bensì partendo proprio dalla sua esperienza.

Così, facendo proprio il motto dell’università (“Discere faciendo”, è latino e si traduce con “imparare facendo”), Julie decide di iscriversi a un IRONMAN partendo da un postulato: può una ragazza normale – non un’atleta professionista – senza esperienza agonistica, con un grado di allenamento sì apprezzabile ma non certo professionistico – partecipare e portare a termine una gara massacrante come un IRONMAN, solitamente riservata ad atleti altamente allenati?

Decide così di provare e, complice un documentario alla tv, opta non per una gara qualsiasi ma per LA GARA per eccellenza: Kona, Hawaii. Convince il relatore della tesi, si fa pagare da sua madre l’iscrizione (85 dollari, a quei tempi la qualificazione non era necessaria) e un mese prima della gara parte per le Hawaii con, per sua stessa ammissione, poco allenamento nelle gambe e dormendo da amici dei genitori. In quelle tre settimane e mezzo nuota, pedala e corre per tutta l’isola. Si diverte, soprattutto, frequentando l’ambiente dei triatleti professionisti e facendosi consigliare da loro.

E arriva il giorno della gara, il 6 febbraio. Julie è tranquilla, nuota bene e il primo cambio va via liscio. In bici si era prefissata di mangiare la sua barretta – (di Snickers) – verso il 40° chilometro ma quando la estrae scopre che si è letteralmente spappolata nei pantaloncini e non le resta che pulirsi le mani sporche di caramello proprio su di essi, pure immortalata da un cameramen della ABC!

Porta comunque a termine la frazione e, durante l’ultima transizione, le si rompe il reggiseno. Dimmi tu se questa non è sfortuna! Convince un’addetta al rifornimento a farsi prestare il suo e riparte per la maratona. E qui accade l’impensabile: Julie Moss, studentessa californiana prestata al triathlon, diventa l’improbabile leader della classifica femminile.

Al 37° km la raggiunge Kathleen McCartney, già atleta professionista: è dietro di lei, distanziata. Julie pensa di farcela ma al 40° chilometro sente che sta per cedere. Resiste ancora ma lo stomaco è in subbuglio, la vista tende sempre di più ad appannarsi.

E così accade, ma quello che successe cambiò per sempre l’IRONMAN: a poco meno di 15 metri dal traguardo Julie Moss si accascia a terra, ormai disidratata. Prova ad alzarsi facendosi perno con le braccia – un’immagine che resterà nella storia – ma cade, di nuovo. Riprova, si rialza e cade di nuovo. La folla assiepata al traguardo si ammutolisce, i volontari l’aiutano ma lei gli scaccia, preoccupata di un’eventuale squalifica. Si rialza – per la quarta volta – e davanti a sé vede le luci del traguardo. Ed è in quel preciso istante che la McCartney la sorpassa e taglia il traguardo. Julie dichiarerà poi che vedere “quei pantaloncini bianchi e quel logo arcobaleno” passarle davanti le provocò un sussulto, un misto di orgoglio ferito, dispiacere, autostima crollata.

Julie Moss a terra, mentre cerca di rialzarsi.

Ma non si trattava più di vincere, ma di non rinunciare a se stessa e a tutto quello che aveva fatto fino a ora, trovare qual valore, quel barlume di motivazione che ti spinge ad andare avanti.

Find that value in yourself that drives you forward”.

Impiegherà altri 25 secondi per tagliare a sua volta il traguardo, a carponi. Il video che racconta l’impresa è impressionante. 11 ore, 10 minuti e 9 secondi per ottenere la medaglia d’argento.

Non per essere campionessa ma per diventare un’icona.

Julie Moss, leggenda dell’IRONMAN.

 

 

 

(Credit immagine principale Robert Yheling/Telegraph. Altra immagine: Carol Hogan/West Hawaii Today)

 

Bibliografia:

– “Crawl of Fame: Julie Moss and the Fifteen Feet That Created an Ironman Triathlon Legend” di Julie Moss, Robert Yehling, Armen Keteyian – Pegasus Book, 2018 (solo in inglese)

– Winner Who Didn’t Finish Firts – di Vinent M. Mallozzi – The NewYork Times, 18 ottobre 2003

 

 

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