Il segreto di Kipchoge

Cosa rende Eliud Kipchoge il maratoneta più incredibile e veloce del mondo? La scienza ha qualche risposta

Chiunque abbia visto la maratona delle Olimpiadi di Tokyo 2020 non può non aver notato il sorriso con cui Eliud Kipchoge ha tagliato il traguardo.

Si dice che la vera grandezza delle grandi personalità è far sembrare semplice quello che è in realtà difficilissimo – o faticosissimo. Kipchoge non è da meno: anche lui fa sembrare una gioia e una cosa piacevole la maratona, cioè uno degli sforzi più importanti e provanti che natura umana conosca.

Siccome parliamo dell’uomo più veloce del mondo, almeno relativamente alle gare di resistenza, è naturale che la scienza si sia interessata a studiarlo, per capire cosa lo rende un essere umano così sovraumano. Outside ne parla in un lungo articolo che spiega perché lui è The Goat, ossia “Greatest Of All Time”. Cosa lo rende così invincibile e unico? C’è una formula magica che si può applicare anche ad altri esseri umani, replicandola?

Le cose non sono mai così semplici, ma qualche spiegazione la scienza è riuscita a darla.

Allenamento

Kipchoge, per quanto è dato sapere, si allena come tutti i maratoneti, cioè accumulando circa 120 miglia alla settimana. Ovviamente il chilometraggio conta fino a un certo punto perché è altrettanto importante come viene coperto, però c’è un tratto comune fra le distanze percorse da chi si allena ad alti livelli ed è che fanno, appunto, tra le 100 e le 120 miglia ogni 7 giorni.

Un altro dato interessante è che in allenamento Kipchoge non copre mai distanze superiori all’80% di una maratona, cioè i suoi lunghissimi sono al più di 33-34 chilometri.

La triade

Il modello di corsa ottimale per la maratona, e cioè l’insieme di fattori che definiscono, almeno teoricamente, la migliore configurazione che un atleta deve avere per performare al massimo nelle gare di resistenza risale a uno scritto scientifico del 1991 di Michael Joyner: fu proprio lui che 30 anni fa predisse che l’uomo poteva correre una maratona in 1:57:58. Oggi, a distanza di tre decenni, sappiamo che quel tempo – che appariva assurdo e irrazionale quando venne reso pubblico – non è così improbabile: Kipchoge stesso ci si è avvicinato anche se non in una gara ufficiale nell’ottobre del 2019, fermando il cronometro a 1h 59’ 40”.

Piacere di conoscerti, sono l’uomo più veloce del mondo

Quali sono questi fattori? Si tratta della soglia lattacida (più è elevata e più l’atleta è capace di sopportare sforzi prolungati senza produrre acido lattico che non riesce a smaltire), il VO2 max ed economia del gesto, cioè l’efficienza della tecnica di corsa. La combinazione di questi tre fattori – specialmente quando sono misurabili con valori molto elevati – decreta la potenza di un o di una atleta.

E se ci pensi, al di là di valori oscuri come la soglia lattacida e il VO2 max, l’efficienza di corsa di Kipchoge è evidente: basta osservare con quanta eleganza corre e come ogni suo gesto sia governato da una danza che esprime solo il movimento necessario per andare alla massima velocità, senza sprecare alcuna energia.

Un nuovo fattore

Oltre a questi fattori noti da decenni, uno nuovo si è affermato recentemente, anche perché proprio Kipchoge è in grado di esprimerlo a livelli mai visti: si tratta della velocità critica o CS (Critical Speed). Non stiamo parlando di velocità massima ma di quel particolare tipo di sforzo (che si traduce quindi in velocità) che un atleta è in grado di sostenere senza andare fuorisoglia e scaricarsi. Quello di Kipchoge è così elevato che sostanzialmente nelle gare che ha corso e vinto non l’ha mai toccato, e l’ha dimostrato anche a Tokyo, specie in paragone agli altri concorrenti: quando tra il 30 e il 35° chilometro ha iniziato ad accelerare il resto del gruppo aveva già toccato la propria velocità critica e stava rallentando (o faticosamente stava cercando di restare sui regimi mantenuti fino a quel momento) mentre Kipchoge aveva ancora – letteralmente – delle marce in più.

La resistenza alla fatica muscolare

Un altro fattore che evidentemente Kipchoge ha in forma massiccia è la resistenza alla fatica muscolare: in altre parole, la sua capacità di non arrivare al limite di affaticamento dei suoi muscoli è più elevata di altri atleti, rendendo quindi la sua corsa efficiente sempre e a lungo. Cosa gli permette di sopportare meglio lo sforzo? Secondo Joyner potrebbe trattarsi della prevalenza di fibre muscolari veloci, che lui riesce a usare meglio di altri – avendone anche evidentemente di più – evitando di arrivare al suo limite.

Altezza

Le dimensioni contano, si sa, e in questo caso avere un’altezza contenuta è un vantaggio per diversi motivi: i maratoneti di dimensioni contenute hanno fisici biomeccanicamente più efficienti perché il sangue può arrivare in ogni muscolo affaticando meno il cuore (perché deve pomparlo in proporzione di meno, dovendo fargli fare distanze più brevi) e lo scambio termico è altrettanto ottimale, dato che ogni regione del corpo è irrorata completamente.

A questo punto ti chiederai quanto è alto Kipchoge: 167 centimetri. Un’altezza ottima, ora si è capito.

Rigidità delle gambe

Questo è un aspetto un po’ controintuitivo: la perfezione del gesto atletico dipende infatti anche da quanto rigido è il sistema di distribuzione delle forze. In altre parole, la capacità di Kipchoge di scaricare a terra energia e di riceverne per balzare in avanti è legata alla rigidità delle sue gambe in relazione all’economia del gesto atletico. Per capirlo meglio immagina che questo particolare movimento delle gambe sia esagerato e che, toccato il terreno, il piede rimbalzi esageratamente sollevando la caviglia e poi su, fino al ginocchio. Quanto più l’atleta riesce a trovare l’equilibrio fra l’impatto e la capacità delle gambe di contenerlo trasformandolo in energia propulsiva, tanto più il movimento è fluido e la corsa è efficiente.

Non stiamo parlando di tronchi al posto delle gambe, l’avrai capito: si tratta piuttosto della rigidità necessaria e sufficiente a non dissipare l’energia di ritorno dall’impatto del piede sulla strada, per utilizzarla in forma propulsiva.

A questo punto ti sarà facile anche immaginare che… Kipchoge lo sa fare perfettamente, chettelodicoaffà.

La mente del maratoneta

Alla fine arriva la potenza della mente, e non è ultima perché sia meno importante. Già si è detto quanto Kipchoge faccia sembrare il suo sforzo una cosa da poco: in fondo guardalo, ride pure sul finale, si sta di certo divertendo!

In realtà stiamo parlando di un atleta dalle doti fisiche eccezionali ma che non avrebbero mai raggiunto i livelli che lui ha espresso senza essere state utilizzate e sostenute da una testa sopraffina. Come quella che lui può vantare, pur nella sua apparente modestia umana.

Dicono di lui che ha una calma paragonabile a quella di Yoda, dicono anzi che ci assomigli pure. Quel suo sorriso, ancora una volta, sembra rappresentare una qualche forma di consapevolezza zen, di lluminazione. Non sarà che nei suoi allenamenti e nell’esplorazione dei limiti umani che lui compie ormai da anni abbia visto e capito davvero qualcosa che è precluso a molti umani? Fisicamente Kipchoge è probabilmente il massimo che attualmente un corpo umano possa esprimere nella maratona, ma il sospetto che lo sia anche per la sua forza mentale non è trascurabile, anzi: è praticamente una certezza.

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