Il bello della comfort zone

Ammazzarsi di fatica in allenamento vuol dire che lo stai facendo bene? Non è affatto così, e ora ti spieghiamo perché

Sfatiamo un mito: per ottenere risultati non devi sempre ammazzarti di allenamento (ma vale anche per il lavoro o la vita). O meglio: non conta quanto lo fai ma come lo fai.
Un eccesso di allenamento può non tradursi in una forma fisica eccezionale ma anche, piuttosto, in infortuni e quindi riposo obbligato. Come sempre conta come approcci l’allenamento e con quale mentalità. Ma procediamo per passi.

È un comfort diverso

“Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano.” diceva il grande pilota Mario Andretti. Era un altro modo per descrivere la zona comfort: quella in cui sei, appunto, in controllo, e non ti sono richiesti grandi sforzi per fare quello che stai facendo. Lo puoi anche fare pilotando un bolide, a patto che accetti di arrivare ultimo. Se vuoi arrivare primo devi uscire da questo stato di tranquillità e spingere oltre i tuoi limiti.

Un aspetto che non si è mai considerato di questa affermazione è però un altro: Andretti parlava di gare, cioè eventi eccezionali in cui doveva dare il 110% per vincere. Non puoi però vivere ogni giorno come se fosse una gara e non puoi sempre allenarti pensando di essere a New York nel gruppo di testa.

Il flow

Il flow è uno stato in cui mi auguro tu ti sia trovato in qualche punto della vita: è una condizione in cui sei totalmente concentrato in quello che stai facendo e niente ti distrae.

È uno stato mentale descritto per la prima volta dallo psicologo ungaro-americano Mihaly Csikszentmihalyi (c’è un premio internazionale per chi lo pronuncia correttamente): “essere in flow” significa trovarsi in uno stato di grandissima concentrazione in cui fare ciò che stai facendo ti assorbe completamente e non ti richiede particolari energie. Durante questo stato la percezione del tempo sfuma (il tempo vola, letteralmente) e sei concentrato come un raggio laser.

Non è detto che ti capiti solo al lavoro: può succedere anche guardando una mostra, mentre parli con un amico, mentre cucini. In genere invece non succede quando sei rilassato e guardi, per esempio, la tv, attività durante la quale ci si distrae invece molto facilmente.

Riassumendo, quindi: perdi la cognizione del tempo perché fai una cosa che ti assorbe e che ti piace fare. Hai uno scopo (farla) e un set di istruzioni ridotto e semplice.
Assomiglia tantissimo a un allenamento, non trovi? Fino a un certo punto, mi correggerai, perché può benissimo capitare che la prima distrazione durante un allenamento sia del tipo “Dio mio, non vedo l’ora che finisca”.

Infatti

Csikszentmihalyi individua fra quali estremi si situa il flow: è un canale che scorre fra l’ansia e la noia. Detto così non aiuta molto, allora vedila in questi termini: sei “in zona” o nel flow quando fai qualcosa che non ti crea ansia né ti annoia. Trasportando questo concetto nel mondo sportivo, sei in questo stato quando allenarti non ti crea una fatica eccessiva o non ti annoia. Quando ti trovi in questo stato? Beh, dipende molto da te, specie per quanto riguarda il limite superiore, cioè quello dell’eccesso di fatica: se allenarti ti sfianca troppo, lo stai facendo in eccesso e soprattutto stai trasformando un’esperienza che deve essere piacevole in un incubo.

La chiave è la continuità

Gli americani riescono sempre a semplificare in maniera efficace e quindi prendo a prestito quello che dice l’allenatore di arti marziali Firas Zahabi: essere in flow significa allenarsi in maniera da non distruggersi, né farlo in maniera così blanda da rendere inutile lo sforzo. In termini pratici significa allenarsi ma senza avere carni matte e senza dover recuperare eccessivamente prima dell’allenamento successivo.

Zahabi fa un esempio molto semplice: “Se ogni allenamento fai – poniamo – 50 addominali e per tutto il giorno dopo sei così stanco da non riuscire a farne altri, ponendo che tu faccia 3 allenamenti così alla settimana, dopo 7 giorni avrai fatto 150 addominali. Se invece ne fai 30 (restando in comfort zone), il giorno dopo non sarai distrutto e ne potrai fare altri 30. Dopo 7 giorni, anche con un giorno di recupero, ne avrai fatti 180. Quindi alla fine ti sarai allenato più di chi in ogni sessione ne fa più di te.”

Spesso valutiamo lo sforzo nel singolo allenamento e non nell’ottica dell’intero programma di preparazione: che senso ha ammazzarsi di fatica per poi essere a corto di energie per l’allenamento successivo e soprattutto rendendo un’attività che dovrebbe essere un piacere un incubo? Se ogni volta finisci per essere affaticato e massacrato forse non lo stai facendo giusto e soprattutto stai peggiorando l’esperienza della corsa, che deve essere prima di tutto un piacere.

Quello che conta insomma non è la singola prestazione ma la continuità: è meglio meno e più spesso che di più ma a tratti.

Uno degli aspetti più interessanti di questa teoria è quello psicologico: come avrai notato infatti agisce sul piacere di fare qualcosa e non sul superamento continuo della sfida. La sfida infatti è un caso isolato (è la gara) mentre il piacere nel fare qualcosa è la chiave per farla in maniera continuativa.

Corri perché ti piace e lo fai in maniera da non renderla un’attività sgradevole. E soprattutto lo fai spesso.

Meno, ma più spesso.
Ripeti: meno, ma più spesso.

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