CoViD-19 e attività sportiva: cosa sappiamo fino a oggi

Quali conseguenze ha la CoViD-19 sull'attività sportiva? Quanto tempo dopo la guarigione bisogna attendere prima di fare sport? E i vaccini?

Dal febbraio duemilaventi le nostre vite sono – volenti o nolenti – legate all’andamento della pandemia dovuta al SARS-Cov-2 ed alla sua evoluzione, ai limiti che sono stati imposti per la tutela della salute e, in alcuni casi purtroppo, agli strascichi che l’infezione porta una volta superata la fase acuta.

Per i runner (ma per tutti gli sportivi in generale) lo studio di questo aspetto è in continua evoluzione e sono numerosissimi i ricercatori che si stanno dedicando alla raccolta e all’analisi dei dati relativi all’impatto della CoViD-19 sulle performances degli atleti – che siano élite o amatori – perché il semplice superamento della malattia nella sua forma acuta e più evidente potrebbe non essere sufficiente (spoiler: effettivamente è così) per riprendere a fare attività sportiva al livello che si aveva precedentemente all’infezione.

SU COSA SI SONO CONCENTRATI GLI STUDI

Dallo scorso anno – quando le restrizioni dovute alla pandemia hanno iniziato ad allentarsi, seppur con le limitazioni imposte dai singoli Paesi – l’attenzione dei ricercatori di tutto il mondo che si occupano di Medicina dello Sport si è concentrata al comprendere come e in che tempi il corpo di un atleta possa tornare alle condizioni che aveva precedentemente all’infezione da SARS-Cov-2. In numerosi studi sono stati creati, come si fa di solito in questi casi, due gruppi: atleti affetti dalla CoViD-19 e non-atleti affetti dalla CoViD-19, e per ciascuno dei due gruppi sono stati registrati numerosi parametri cosiddetti indice che servono, appunto, a indicare le condizioni di salute della persona in oggetto. Diversi studi, inoltre, suddividono gli atleti in amatori ed élite, in modo da evidenziare ulteriormente eventuali differenze tra i tempi di recupero e gli effetti della malattia su un corpo da runner comune e uno da professionista (o comunque di alto livello).

Senza entrare troppo nel dettaglio tecnico sui dati analizzati (è una roba estremamente interessante per chi la studia, ma forse un po’ noiosa per chi la legge), in molti degli studi presi in considerazione sono emerse fondamentalmente tre problematiche principali da affrontare, due di carattere fisico ed una di carattere psicologico.

Per quel che riguarda quelle di carattere fisico, al primo posto c’è ovviamente il tempo di ripresa dell’attività polmonare, che varia a seconda del grado di sviluppo della malattia e determina conseguentemente il recupero delle normali attività della persona colpita. Per chi è stato colpito dalla CoViD-19 in forma media o asintomatica, infatti, con la remissione dei sintomi si avrà un aumento delle capacità respiratorie, e il ritorno alla normale capacità polmonare a riposo è solitamente fissato in un paio di settimane dalla completa scomparsa della sintomatologia. I tempi si allungano – e di molto – per chi è stato colpito dalla malattia in forma grave (ma che non è stato ospedalizzato o sottoposto a respirazione artificiale), che dovrà attendere, dalla scomparsa dei sintomi, oltre un mese e mezzo o due prima di avere un completo ritorno alla capacità polmonare a riposo, sempre che la polmonite non abbia creato aderenze che complicherebbero ulteriormente le cose.

La seconda principale componente fisica colpita dalla malattia è il cuore. Il nostro muscolo più importante, nei soggetti colpiti dalla CoViD-19, è messo a dura prova sia in chi viene colpito in maniera più grave dalla malattia, sia in chi la supera con sintomi lievi. A causa dei problemi respiratori infatti, lo sforzo cardiaco necessario a far arrivare sangue ossigenato agli organi è portato al limite, ed è stato possibile riscontrare anche nei soggetti clinicamente guariti infiammazioni del cuore, chiamate miocarditi, che potrebbero condizionare la regolare attività cardiaca in maniera più o meno grave a seconda della loro intensità. Per questo aspetto, la completa remissione non ha un range temporale ben definito e dipende in larghissima parte dalle capacità di recupero dall’infiammazione del soggetto colpito. Per chi presenta patologie concomitanti, come per esempio il diabete, il rischio è più alto e i tempi di recupero molto lunghi. Rispetto a quanto avviene con la componente polmonare, però, in assenza di altre patologie le problematiche legate alle miocarditi sono molto meno frequenti e la possibilità di riscontrarle, per un paziente che ha superato la malattia, sono inferiori allo 0,3%: cioè solo tre persone su mille potrebbero manifestare dei sintomi. È una percentuale molto bassa, ma comunque da tenere in considerazione.

Ciò che è stato possibile vedere, nel confronto tra atleti e non-atleti, è che nella ripresa delle normali attività quotidiane il fisico di un atleta (amatore o élite non importa) risponde in maniera più veloce rispetto a un non-atleta per entrambe le componenti fisiche, il che è sicuramente un punto a favore per l’attività fisica.

LA COMPONENTE PSICOLOGICA

L’altro indice individuato è quello della mental health, la salute mentale, che nelle persone colpite da tutte le forme della malattia e maggiormente in chi viene colpito in maniera media o grave porta spesso (secondo alcuni studi in quasi la metà dei casi) a sviluppare una forma di fobia sociale e quasi di rifiuto per la ripresa delle attività. In molti casi chi viene colpito in maniera grave dalla malattia e guarisce ha comunque timore di essere colpito nuovamente o di poter fungere da trasportatore del virus verso le altre persone, e cerca pertanto di limitare al minimo i contatti, anche – soprattutto – con le persone più care e con i colleghi di lavoro e compagni di squadra (in caso si tratti di atleti). Anche per questo indice non c’è un tempo di recupero ben definito, e capire come risolvere questa problematica è forse l’aspetto su cui si dovrebbe puntare maggiormente, poiché in molti studi viene evidenziato come questo disagio sociale (social adversity – come viene definito) colpisca in maniera indiscriminata non solo atleti e non-atleti colpiti in qualsiasi grado dalla malattia, ma anche i componenti dei cosiddetti gruppi di controllo, ovvero le persone non colpite dalla malattia che sono state monitorate per avere un ulteriore metro di paragone per elaborare i dati.

COME DEVO COMPORTARMI SE HO AVUTO LA COVID-19?

Ciò su cui praticamente tutti gli studi concordano è che, per gli atleti amatori, il ritorno alle attività sportive debba essere fatto in maniera graduale e possibilmente sotto controllo medico, con analisi periodiche soprattutto per evidenziare eventuali problematiche cardiache. Gli studi più recenti parlano di un’attesa, tra remissione dei sintomi e ripresa graduale dell’attività, di almeno dieci giorni, ma se non sei un atleta professionista e non hai un motivo particolare, aspettare due settimane non ti farà male, anzi darai al tuo corpo ancora più tempo per recuperare.

Alla ripresa degli allenamenti, cerca di annotare almeno quattro indicatori:

  • la sudorazione;
  • lo sforzo percepito;
  • il tempo necessario a ritornare ad una normale respirazione ed al tuo solito numero di battiti cardiaci;
  • l’intensità del fastidio muscolare post esercizio.

Se durante l’attività senti che qualcosa non va, fermati e prendi in considerazione la possibilità di fare un altro controllo dal medico prima di ricominciare. Il Ministero della Salute ha stilato, negli scorsi mesi, una lista di accorgimenti che i Medici dello Sport devono consultare per rilasciare il certificato medico per l’attività dell’atletica leggera, andando a valutare molti aspetti e dandoci una discreta tranquillità per ricominciare a fare la nostra attività sportiva e divertirci. Se anche non hai intenzione di partecipare a nessuna gara o non vuoi fare attività sportiva a livello agonistico, investi qualche decina di euro per una visita di questo tipo, sono sicuramente soldi ben spesi.

IO SONO VACCINATO, CHE RISCHI CORRO?

Questa è la classica domanda da un milione di dollari. Sono ancora pochi gli studi che riguardano le conseguenze del vaccino sulle performance atletiche. I motivi sono due: i vaccini disponibili sono molti (i più diffusi sono 6, ma ci sono almeno altri 3 in fase di test avanzato) e utilizzano meccanismi d’azione diversi (almeno 4) per fare la stessa cosa, cioè far credere al nostro corpo di essere venuti a contatto col SARS-Cov-2 e fargli produrre anticorpi. Mettere insieme un set di analisi unico per così tante combinazioni è piuttosto complesso e attualmente è un lavoro che nessuno ha fatto. Il secondo motivo è che, se si escludono – dati alla mano – gli effetti collaterali ascrivibili a quelli di un qualsiasi altro vaccino, il recupero post somministrazione è molto veloce e chi viene vaccinato in un paio di giorni torna alla vita normale e alle attività sportive senza evidenti difficoltà, per cui, mancando una casistica – cioè chi lamenta effetti avversi del vaccino in determinate condizioni – non è possibile raccogliere dati che rendano gli studi ripetibili e verificabili. In realtà, la comunità scientifica concorda sul fatto che sia plausibile, mancando i dati sulle reazioni avverse ed essendo state somministrate miliardi di dosi, che gli effetti sulle performances dovuti al vaccino (che siano avversi o favorevoli) siano trascurabili.

Buone corse, RunLovers!

credit immagine principale: Galitskaya on DepositPhotos.com

Bibliografia parziale

Circolare sulle procedure per l’idoneità sportiva del Ministero della Salute Italiano, 2021.
“COVID-19 vaccination in athletes: ready, set, go…” di Hull et al., 2021.
 “Evaluation forMyocarditis in Competitive Student Athletes Recovering From Coronavirus Disease 2019 With Cardiac Magnetic Resonance Imaging“ di Jitka Starekova et al., 2021.
“Focal Myocarditis after Mild COVID-19 Infection in Athletes“ di Udelson et al., 2021.
“Return to Play for Athletes After COVID-19 Infection“ di Hull et al., 2021.
“Clinical patterns, recovery time and prolonged impact of COVID-19 illness in international athletes: the UK experience“ di Hull et al., 2021.
“Prevalence of Inflammatory Heart Disease Among Professional Athletes With Prior COVID-19 Infection Who Received Systematic Return-to-Play Cardiac Screening“ di Martinez et al., 2021.
“Prevalence of Clinical and Subclinical Myocarditis in Competitive Athletes With Recent SARS-CoV-2 Infection“ di Daniels et al., 2021.
“Covid-19 and the impact on young athletes“ di Fitzgerald et al., 2021.

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