«Esiste in giapponese una parola, un concetto che racchiude la fine e la sua bellezza, «la bellezza della fine», il «bel finale».
È yūshū no bi 有終の美, che ha in coda il kanji di «fine» (終) e, in testa, quello di «essere» (有). Un’espressione che si usa in coppia con la «bellezza» che è bi (美).
Parto da questa bellissima pillola di Laura Imai Messina, scoperta durante Il Circolo degli Anelli, per una riflessione sulle Olimpiadi.
yūshū no bi è questa sensazione che rimane mentre ripensiamo ai giorni scorsi, all’entusiasmo, allo sport che ha pervaso le nostre vite, ai risultati degli atleti, alle immagini che – fortunatamente – hanno raccontato storie per cui le parole erano senz’altro inadeguate. Ed è stupendo come questa sensazione sia rimasta e, sono certo, tornerà dal 24 agosto per i Giochi Paralimpici.
Per poco più di due settimane, tutti gli sport hanno avuto la stessa dignità e abbiamo festeggiato con entusiasmo la medaglia di Vito Dell’Aquila nel Taekwondo o il doppio oro nella 20 Km di Marcia di Antonella Palmisano e Massimo Stano. Medaglie ne sono arrivate molte e ne siamo stati tutti felici.
Ci sarà da gioire nel lungo periodo?
Non lo so, però ho la sensazione che ci sia ancora una grave carenza sistemica e politica nello sport. Temo che da settembre, quando tornerà la Serie A, scorderemo tutte queste belle emozioni per sostituirle con altre, quasi a fare swipe up e passare alla foto successiva.
Perché, al di là dei tronfi proclami dei presidenti di molte federazioni e dei Seven Nation Army calcistici, l’Italia è un paese che non dà importanza allo sport. O meglio, guarda molto sport ma lo pratica poco.
Attenzione, non voglio sembrare un vecchio brontolone sempre scontento: sono molto felice dei risultati ottenuti dagli atleti italiani alle olimpiadi, ho gioito anch’io per le vittorie e va riconosciuto grandissimo merito a Jacobs, Tamberi e tutti gli altri per aver raggiunto degli obiettivi straordinari. Poi però nascono delle domande e, su tutte, ne ho un paio che non riesco a trattenere.
Domanda 1 – Quanti Gimbo Tamberi in più avremmo se ci fosse un programma sportivo serio all’interno delle scuole?
Domanda 2 – Quanti Marcell Jacobs in più avremmo se le piste d’atletica non fossero costantemente chiuse da cancelli alti 3 metri?
In parole povere e molto semplici: è indispensabile che la politica faccia qualcosa per lo sport. Perché le 40 medaglie portate a casa dalla delegazione italiana, secondo me, non sono la rappresentazione di un sistema funzionante ma il riconoscimento degli sforzi dei singoli atleti.
In fondo, anche nella strategia politica, questo sarebbe il momento giusto per cavalcare l’entusiasmo e investire, no?!
Non è necessario creare una nazione di sportivi; basta iniziare a investire su giovani e federazioni con programmi specifici. Ossia creare un sistema che faccia crescere gli atleti che porteremo a Parigi, Los Angeles e Brisbane (solo per citare le Olimpiadi).
L’esempio inglese
Esempi di sistemi funzionanti ce ne sono molti, quello inglese su tutti.
Li abbiamo presi in giro – “it’s coming Rome, again” – per averli sconfitti nella 4×100, ma è una nazione con un numero di abitanti analogo all’Italia e ha portato a casa 25 medaglie più della nostra delegazione e il quarto posto nel medagliere. È un caso? No.
La Gran Bretagna ha un programma sportivo iniziato molto prima delle Olimpiadi di Londra 2012 e funziona. Hanno usato la spinta emotiva dell’assegnazione olimpica per investire. E ora lo sport fa parte della vita quotidiana degli inglesi, non solo per gli atleti professionisti.
Noi, invece, abbiamo rinunciato alla candidatura di Roma come sede olimpica. Ma non voglio entrare in questa polemica, preferisco avere un approccio positivo.
Usiamo lo “yūshū no bi”
Facciamo fruttare questa bellezza e, per certi versi, freghiamocene dei meriti o demeriti. È indispensabile usare questo entusiasmo per far progredire il mondo dello sport, per farlo diventare sistemico e quotidiano perché mancano solo 3 anni alla prossima Olimpiade.
Arigato, Tokyo 2020. Bonjour, Paris 2024!
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