Della nuova serie animata che Zerocalcare ha disegnato per Netflix si conoscono pochi dettagli. Si sa che si chiama “Strappare lungo i bordi” e che ne sono state presentate le prime due puntate alla Festa del Cinema di Roma, si sa che sarà composta da sei episodi di 15 minuti l’uno, che uscirà il 17 novembre e che è stata prodotta da Movimenti Production in collaborazione con Bao Publishing.
Tutti ne abbiamo visto delle anteprime, la prima più di qualche mese fa. È evidente che Netflix ha investito molto su Michele Rech – a.k.a. Zerocalcare, appunto – almeno a giudicare dalla poderosa macchina di marketing che ha messo in moto per creare una grande aspettativa. Se Zerocalcare – quello reale, non quello disegnato – è vagamente ansioso come la sua trasposizione bidimensionale pare essere, posso solo immaginare quanto si stia sentendo grigliato a fuoco lento in attesa del 17 novembre.
Ma non lo conosco personalmente, anche se il suo modo di raccontare storie potrebbe darne l’impressione. Hai mai letto uno scrittore o visto un film chiedendoti “Ma non starà mica parlando di lui/lei stesso/a? Non sarà mica una storia autobiografica?”. Conta? Non conta? Non credo conti, è più importante la sensazione che ti lascia addosso.
La voce e il tratto di Zerocalcare
A me sentire le sue storie fa sempre pensare che il suo tratto distintivo sia l’estrema sincerità e la totale mancanza di filtri con cui si espone parlando dei suoi pensieri, dei suoi dubbi e delle sue riflessioni. Sempre con quel tono avvitato su se stesso e quel modo di parlare fortemente accentato e cervellotico, fatto di continui scarti e scatti, di pensieri fulminei e interrotti e poi ripresi più in là. Ascoltare le parole dei suoi cortometraggi (e ho scritto “ascoltare” non a caso, perché è quasi un’azione separata dal vedere e sentire i suoi cortometraggi) significa mettersi a rincorrere un coniglio nella sua tana. Credo, anzi, che la similitudine con il Bianconiglio di disneyana memoria ci possa anche stare (magari mi odierà per questo parallelo, chi lo sa): quando leggi o guardi un suo lavoro ti devi mettere a corrergli dietro. E lui corre, e cambia spesso direzione e accelera e si ferma per guardare se ci sei ancora. E poi riparte.
Del resto Michele Rech corre anche nella vita reale. Molti lo hanno conosciuto attraverso i suoi video trasmessi da Propaganda durante il lockdown, nei quali raccontava i drammi del runner che correva nel giardino del suo condominio terrorizzato dall’idea di essere beccato e sentendosi in colpa ogni istante. Ma non riuscendo a non farlo.
Sarebbe interessante chiedergli se mentre corre i suoi pensieri lo lasciano un attimo in pace ma quello che ci è dato sapere, per ora, è che pochi giorni fa è uscito un nuovo video/anteprima/teaser della serie “Strappare lungo i bordi” e, come al solito (e anche per fortuna) non ci si capisce niente. Ci lamentiamo sempre che ultimamente le anteprime dei film dicono quasi tutto dei film stessi e quindi dovremmo prendere bene il fatto che in questo caso non ci si capisca molto: a parlare è Secco (cioè Zerocalcare in versione cartoon) che ricorda episodi dell’adolescenza, poi parla con Armadillo (doppiato da Mastandrea, unica eccezione dato che tutti gli altri personaggi sono doppiati da Zerocalcare stesso), poi… fa cose. Secondo quanto si dice, tutto sarà chiaro alla fine e il complesso puzzle che viene mostrato nelle puntate precedenti sotto forma di tessere comporrà un disegno inequivocabile.
Ma alla fine tutto deve avere un senso, poi?
Leggevo quello che se ne dice e pensavo che del mosaico e delle tessere e di altri dettagli non mi importa poi molto. Cosa mi attrae invece della narrazione di Zerocalcare? Perché quando parla non riesco a smettere di ascoltarlo?
Mi do questa spiegazione: Zerocalcare è la mia coscienza, è una specie di ombra che mi sta incollata ai piedi solo che, a differenza della mia solita ombra, questa parla e parla e parla.
Sai tutti i pensieri che hai in testa? A volte li ascolti, a volte gli dici di starsene zitti, a volte non li badi proprio. Zerocalcare è l’insieme di tutti quei ragionamenti che si trasformano in un borbottio continuo che ti è impossibile ignorare. Del resto sarebbe impossibile disgiungere la sua narrazione grafica da quella parlata, il tratto della sua penna dalla sua parola. Per quanto la sua tecnica grafica sia eloquente, distinguibile e potente, Zerocalcare sarebbe meno potente senza le sue parole. Perché il suo modo di raccontare non è fatto solo di disegni accompagnati da fumetti con dentro parole: è fatto di parole che hanno la forma dei suoi disegni.
E le sue parole formano un discorso quasi senza punteggiatura, fatto dai ragionamenti di una coscienza che rincorre se stessa e una possibile verità, ponendosi domande e dandosi risposte, senza tregua.
Mi accorgo ora che se uno non conoscesse Zerocalcare, da quanto ho scritto lo scambierebbe per un atroce saggio di psicanalisi disegnato. No: il problema del signor Michele Rech è che fa tantissimo ridere. Del resto se leggesse queste righe me lo immagino dirmi “Ahò ma che stai addì?”, neanche aggressivo ma solo vivacemente incuriosito che questo sia l’effetto che può fare. O forse no, chi lo sa. Poi correrebbe via, a seguire altri ragionamenti, a cercare le parole per dirli e i tratti giusti per disegnarli.