Nike Pegasus Trail 2 era una scarpa molto attesa per almeno due motivi: il primo è che la sua versione precedente (Pegasus 36 Trail) lo scorso anno è stata una delle scarpe più vendute in quel segmento crossover tra il running e il trail running; il secondo è che tutti – cioè, perlomeno io – volevamo vedere se e in che direzione si sarebbe evoluta questa scarpa. Questa recensione è leggermente tardiva perché per comprendere appieno una scarpa da trail non basta indossarla e correrci 10-20 km: ho voluto quindi testarle su terreni e pendenze differenti, dalle creste del Resegone alla Valle d’Aosta, lasciando passare qualche giorno tra un test e l’altro così da essere certo che le mie sensazioni non fossero troppo influenzate dalla caponata della sera prima.
Out of the box
Prima di aprire la scatola consiglio di indossare occhiali da sole con un’adeguata protezione: in casa Nike non si sono risparmiati l’uso abbondante di colori fluo (giallo, verde, azzurro). Se sei un fan della sobrietà c’è anche il modello total black, ma lasciami dire che sarebbe un vero peccato: trovo molto azzeccato questo revival 80s e sono certo che anche le colorazioni in prossima uscita saranno molto pop, così come fu lo scorso anno.
La prima cosa che noto è che – così come preannunciato dal nome – la scarpa non è più la sorella gemella della versione da strada: è un oggetto molto diverso, sia esteticamente sia strutturalmente, e dichiara di voler essere una scarpa da trail a tutti gli effetti.
La seconda cosa molto evidente anche solo tenendola in mano è che l’intersuola abbandona la schiuma Zoom in favore del React (se questo sia un bene o un male lo vediamo più avanti). La terza cosa che noto è che hanno rimosso la scritta “Engineered to the exact specifications of trail runners. Worn to be wild” e questo lo trovo un colpo al cuore per un feticista come il sottoscritto.
Infine la punta: non si vede più la protezione impermeabile, ma si intuisce che questa è stata spostata sotto la tomaia per una maggiore continuità visiva. Salgono invece dalla suola dei piccoli inserti protettivi asimmetrici: così piccoli da sembrare inutili, ma invece non lo sono.
Le ciabatte che sognavi
Appena indossate la sensazione imprevista è di comodità assoluta: penso subito che una volta tornato a casa butterò via quelle Crocs col pelo e userò queste come ciabatte. La tomaia è leggera e avvolgente quasi come quelle in Flyknit, e un nuovo collarino aderisce alla base della caviglia tanto da sembrare un calzino. La linguetta è morbida ed elastica, infine l’intersuola React ti regala quella sensazione di camminare su di un pavimento di Big Babol rigorosamente al gusto panna e fragola.
Il sistema di allacciatura è stato in gran parte rivisto: ora è un sistema ibrido che prende in prestito quello già testato sulle Nike Terra Kiger, le cugine più aggressive.
Run easy
Quando inizio a correre su asfalto mi accorgo subito che l’ammortizzazione del React è fedele alle promesse ed è qualcosa a cui non sono abituato in una scarpa da trail running. Nel momento in cui l’asfalto diventa sentiero sterrato quasi non sento la differenza: l’intersuola assorbe tutte le piccole asperità permettendo di spingere più di quanto farei con altre scarpe. Trovo inoltre una maggiore aderenza della nuova suola in fase di trazione, anche sulle pietre: non so dire se questo sia merito della tacchettatura ridisegnata o di una mescola più morbida o di entrambe le cose. E sai quel collarino che ti avvolge la caviglia di cui parlavo? A parte la comodità indiscussa, mi accorgo che impedisce ai detriti di infilarsi tra calza e tomaia, cosa che spesso capita anche nelle migliori famiglie.
Run hard
Quando il terreno diventa più accidentato però la scarpa inizia a mostrare tutti i suoi limiti, o meglio: ci ricorda che nell’offerta Nike per il trail running questa non è certo la scarpa più tecnica. Piacevolmente sorpreso dal grip non mi rendo conto che fino a quel momento il terreno su cui correvo era oltremodo secco: alla prima pietra bagnata finisco lungo disteso. Sicuramente errore mio aver abbassato il livello di guardia, ma i chilometri successivi mi confermano che appena incontro umidità e fango occorre ridimensionare drasticamente la fiducia riposta nella suola. Sia ben chiaro: è ovvio che non tutte le scarpe sono fatte per correre su tutti i terreni, ma ammetto che mi sarei aspettato qualcosa di più da questo punto di vista.
Il secondo limite che incontro riguarda la stabilità. L’intersuola React che tante gioie mi ha regalato in salita ora – in discesa o su terreni molto sconnessi – mi dà una sensazione di scarsa stabilità sul tallone. Questa cosa è molto personale, probabilmente un piede con una pianta più larga della mia ne risentirebbe meno, ma la mia idea è che un drop decisamente inferiore (10 mm sono davvero troppi per il mio modo di correre offroad) gioverebbe parecchio a queste scarpe.
E quindi le compro?
Che ti posso dire. Sono belle assai e hanno sicuramente un ottimo rapporto qualità prezzo con un’attenzione al dettaglio (sia estetico che costruttivo) che decisamente non trovi ovunque. La questione – come sempre del resto – è cosa pensi di farci. Le Nike Pegasus Trail 2 si confermano un ottimo crossover, dando il loro meglio su uno sterrato molto corribile e su fondi molto duri. Quando però il gioco si fa duro a mio avviso è il caso di scegliere altro, ma in fondo ci sta: come ho già detto non è certo la scarpa più tecnica dell’offerta Nike. Forse la sua pecca più grande è che a vederla ti immagini che sia un prodotto più aggressivo, quando invece vuole giustamente restare al top nel suo segmento senza sovrapporsi né cannibalizzare altre fette di mercato.