A cosa serve un record del mondo?

Sembra una domanda stupida e forse lo è, o lo è almeno in parte. Un record del mondo ci dice che quella persona che è stata in grado di stabilirlo non solo ha vinto la gara a cui ha partecipato, ma è anche la migliore di sempre in quel campo. Talmente scontato che probabilmente non avrebbe nemmeno senso domandarselo. Nel campo della corsa e delle specialità di fondo dell’atletica leggera però, da qualche anno si discute molto sulla veridicità o meno dei nuovi record e sulla effettiva possibilità di metterli a confronto con quanto fatto registrare fino ad allora, viste le tante differenze di preparazione atletica e di supporto tecnologico esistenti per le varie componenti in campo. Probabilmente allora sarebbe meglio chiedersi: A cosa serve, OGGI, un record del mondo? Ecco, forse a questa domanda si può trovare una risposta che non sia tanto scontata.

Soltanto una settimana fa, a Londra, ci aspettavamo una gara scintillante in cui il pluricampione di Maratona, detentore del record mondiale e dell’oro olimpico Kipchoge avrebbe dovuto tentare di limare ancora qualche secondo sul record, forte del fatto che è già riuscito ad andare più forte di se stesso, seppure in un evento non omologabile e con molte variabili non ripetibili normalmente in gara. Se hai seguito la gara sai bene che non solo non è riuscito a migliorarsi, ma è anche – per la prima volta da quando corre Maratone – finito fuori dal podio. Ha vinto Kitata, con Kipchumba secondo e Lemma terzo, in un finale che da solo è valso l’attesa, ma non si sono nemmeno lontanamente avvicinati al record. Pochi giorni dopo, a Valencia, Letesenbet Gidey (14’06″65″) sui 5.000 metri e Joshua Cheptegei sui 10.000 (26’11″00”) hanno, invece, confermato le aspettative in un evento pianificato nei minimi dettagli apposta per abbassare i tempi dei record del mondo sulle rispettive distanze in pista, con lepri che hanno fatto il passo per una parte di gara e soprattutto con una serie di luci che indicavano in blu il passo da tenere per un nuovo record ed in verde il passo del record precedente (la tecnologia si chiama Wavelight, traducibile come “onda luminosa”). Ogni volta che viene fuori un nuovo record ottenuto in condizioni particolari si leggono opinioni molto contrastanti su queste modalità di corsa e sul fatto che in questo modo si perda molto della poesia dell’atletica, perché i due neo-detentori dei record dei 5.000 femminili e 10.000 maschili hanno SOLTANTO dovuto tenere il passo delle lepri e quello segnato dalle luci. Io non sono mica tanto d’accordo con quel “soltanto”.

Intanto perché, se fosse facile e bastasse seguire le luci, lo farebbero tutti, e questo non avviene di certo. In secondo luogo, perché entra in gioco la risposta alla domanda con l’aggiunta di OGGI: un record del mondo serve per sapere che si può fare. Che c’è qualcuno, sicuramente dotato di un talento fuori dal comune e con tantissimo lavoro dietro, che ha creduto possibile spostare quel limite che tutti – la maggioranza almeno – ritenevano impossibile da spostare. Con le migliori condizioni possibili, la migliore tecnologia, lo studio apposito per farlo, ma ci ha creduto e c’è riuscito. Personalmente poi, in queste imprese sportive che sembrano di una sola donna o di un solo uomo, mi piace vedere sempre il successo di un gruppo. Perché oltre allo stupore e all’ammirazione che si possono provare per le grandi atlete ed i grandi atleti che materialmente ottengono il record, c’è da considerare l’aspetto di ciò che il tentare di raggiungere quel record ha comportato.

C’è il lavoro di una squadra (o più) di medici che si sono occupati di supportare l’atleta fornendogli indicazioni sulla dieta da seguire e su come gestire gli allenamenti, del team di sviluppo della schiuma per la suola della scarpa da utilizzare per poter sentire meno la fatica, di chi ha accompagnato l’atleta negli innumerevoli chilometri di allenamento e tutte le altre cose che una cosa del genere comporta. E questo, oltre che il record per l’atleta, porta per te e me, comuni mortali appassionati di corsa, una cosa di cui nell’immediato forse non ci si rende conto, a meno che non sia un salto davvero notevole: il miglioramento tecnologico e un generale aumento della conoscenza. Si traduce in materiali più performanti con sui sono costruite le scarpe, con forme migliori per la suola e un minore spreco di energia, con canotte che ti permettono di sudare meno ed asciugarti più in fretta e con tecniche di allenamento nuove, a cui nessuno aveva pensato, prima di avere la necessità di farlo per superare di nuovo il limite. È un ragionamento che non vale solo per gli sportivi, per fortuna. Le tecnologie in costante sviluppo per rilevare il battito al polso, ad esempio, grazie alla spinta avuta dal mondo dello sport, sono passate dall’essere un vezzo per chi potesse permettersi un dispositivo costoso all’essere utilizzate in molti dispositivi medici da banco, con un taglio dei costi incredibile. O le schiume a memoria di forma, a loro volta derivate dalla ricerca spaziale, con cui sono ormai fatte tantissime suole anche di scarpe economiche e che erano in principio destinate solo ai piedi degli atleti élite. Ancora, spostandoci dalla corsa alla bici, i telai in carbonio presenti anche nelle bici di serie a prezzi accessibili. E così via, potremmo stare ad elencare decine o forse centinaia di altre cose.

E allora, se mi rivolgessi la domanda “A cosa serve oggi un record del mondo?”, potrei risponderti che non serve solo a sapere che si può fare, ma che serve a rendere le nostre vite migliori.

Photo credits: NN Running Team

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