Siamo soli, facciamocene una ragione

La metafora corsa/vita è sempre viva. A volte è forte, altre appena percettibile, ma non si spegne mai.
Lo si può dire per ogni sport di endurance, per ogni sport in genere – credo – in cui, alla fine sei tu, da solo, contro te stesso e tutti i tuoi limiti, fisici, emotivi e mentali.

Non è una condizione semplice da accettare, siamo “animali sociali” in fondo, ma lo sforzo, la fatica, la sofferenza, il sudore sono condizioni che dobbiamo affrontare da soli. È una cosa che ci accomuna tutti: da Kipchoge a chi ha appena abbandonato il divano. Siamo noi, le nostre gambe, i nostri pensieri.

Dico sempre che la corsa è un momento di vacanza ma, quando infilo le scarpe, salgo in bici o entro in acqua, molto spesso mi chiudo in una “bolla” dove ogni segnale esterno si attutisce, ogni pensiero assume forma e gravità differenti, in cui – egoisticamente – esisto solo io, conto solo sulle mie forze com’è giusto che sia, come succede, ogni giorno, nella vita.

Prendi e vai. Che sia un allenamento facile, un’uscita di piacere, le maledette ripetute, prendi e vai lo stesso. Perché sai che creerai quella bolla e sei tu a decidere cosa ci metterai dentro.
Può essere buona musica, uno stato mentale sereno, l’estasi della bellezza, pensieri irrisolvibili, scelte difficili o consapevolezza dei limiti.

Sì, perché se la corsa insegna qualcosa, è che dobbiamo fare la pace con i nostri limiti. Possiamo alzarli, spostarli, razionalizzarli, ignorarli ma, loro, sono sempre lì. Come nella vita.

Gli altri – dalle persone che ci vogliono bene agli sconosciuti – quando siamo fortunati possono aiutarci, darci sostegno, creare delle condizioni favorevoli, ma le gambe sono sempre le nostre.
E sono le nostre pure quando, egoisticamente, non ci sentiamo aiutati. Spesso semplicemente perché chi ci circonda sta facendo più fatica di noi.

“Si prega di indossare la mascherina per l’ossigeno prima di aiutare gli altri passeggeri”, dicono in aereo prima del decollo.
Allo stesso modo, non possiamo pretendere aiuto quando c’è chi è chiuso nella sua bolla, nella sua “pain cave”, dicono i ciclisti. Il mondo non ruota attorno a noi, siamo noi che dobbiamo spostarci e conoscerlo, visitarlo e viverlo. E lo facciamo con le nostre gambe, con la nostra fatica, il sudore, i sorrisi, la nostra solitudine.

Una solitudine positiva, però, perché ci aiuta a capire che – come noi siamo nella nostra corsa, con le nostre gambe e la nostra difficoltà – anche chi ci è vicino vive le nostre stesse difficoltà. Diverse eppure identiche.

Sta a noi capire quando dobbiamo tendere la mano per aiutarlo, per rendere questo viaggio nel mondo più piacevole per tutti. Oppure quando dobbiamo preservare il nostro spazio, la nostra bolla, perché – innanzitutto – dobbiamo vincere la nostra fatica, indossare la nostra maschera per l’ossigeno, prima di aiutare gli altri passeggeri.

Lo so, non ho scoperto nulla di nuovo. Ma non possiamo sempre parlare di tecnica, ripetute e prestazioni. Perché quelli sono degli strumenti ma l’essenza della corsa è altro: a volte è semplice “ignoranza” senza pensieri, altre è tutta vita.

Rimane il fatto che siamo soli. E dobbiamo farcene una ragione.

 

 

(Credits immagine principale: lightpoet on DepositPhotos.com)

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6 COMMENTS

  1. Sante parole, com’è vero che solo noi conosciamo i nostri limiti, e quelli che ci dicono “Ma fai questo, fai quello, fai quella gara, lascia perdere quell’altra” pretendono di conoscerli e di sapere come farceli superare dall’alto di una maggiore esperienza. Ma se ci sta che è utile ascoltare i consigli e l’esperienza di chi corre da più tempo di noi, ci sta anche e soprattutto il rispetto delle scelte di ognuno, scelte dettate dai nostri limiti ma anche dalla possibilità che abbiamo di provare a spostarli, in termini di tempo per allenarsi e migliorare e in termini di risorse economiche, fisiche e mentali.

  2. Tutto quello che dici, Sandro, è vero. È anche vero però che nelle situazioni estreme andiamo a cercare gli appigli motivazionali tra gli affetti. Quando non c’è la facciamo più cerchiamo nella mente le immagini delle persone che ci amano e le mettiamo nei mitocondri trasformandole in energia per le nostre gambe.

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