Che abbiamo un corpo, possiamo pensarlo. Che siamo un corpo, forse, anche, con un piccolo sforzo. È il mezzo attraverso cui attraversiamo il mondo, eppure è anche molto di più. Di questi tempi, sicuramente, è ciò da cui ci facciamo rappresentare.
CI nutriamo o LO nutriamo? CI vestiamo o LO vestiamo? Direte voi che è ovvio, CI è la risposta esatta.
Noi CI nutriamo.
Ma noi chi?
A me sembra piuttosto che oggi il corpo sia diventato LO. Acqua e cellule da riempire di qualcosa che assomigli a cibo, che sia possibilmente sano e di qualità. Verrebbe quasi da domandarsi perché nell’epoca dei supermercati bio e dei magici avocado che curano tutti i mali, siamo sempre più ammalati. Ed ecco ciò che mi sovviene: se soffro, mi fa male il cuore, se mi arrabbio, mi duole lo stomaco, se sono stressato, la testa. Peccato che la papaya non curi quel tipo di dolore, sarebbe comodo rivolgersi al commercio equo solidale e far persino del bene al mondo tutto intero.
Viene il sospetto che la natura dei cibi che mangiamo interagisca con qualcosa di ciò che siamo e che quest’epoca abbia dimenticato che c’è salute anche nei sorrisi sinceri di quando siamo felici e non solo nei cibi senza pesticidi. Non che una cosa debba escludere l’altra, ma tutto questo accanimento sul nostro povero corpo mi ha reso solidale con alcune piccole cose, come mangiare il gelato al mare (aiuto, e se le proteine del latte fanno male?) e il prosecco bevuto con le persone che amiamo (e se l’alcool produce infiammazione agli organi?) e la pasta al ragù che mi fa la nonna (e se la farina bianca è nociva?).
Sarò forse troppo sentimentale, ma ho una certa resistenza a pensare che il ciauscolo che mangiavo a Senigallia con i miei zii marchigiani possa avermi fatto male. Proteine animali lì pronte ad attaccare, quando ho ricordi pieni di lunghe tavolate e risa e vino bianco e amore. Che al massimo mi viene da pensare come cavolo facevamo dopo ad andare pure al mare, si intende, senza collassare. I miei zii hanno vissuto una lunga vita, la nonna del ragù mi aspetta per la cena e spesso ho pensato, non lo posso negare, quanto abbia influito su questo il fatto che erano sereni e che ogni mattina si alzavano guardando il mare.
Nella vita, a volte, il cibo è soprattutto un linguaggio di amore e forse il segreto è che c’è un equilibrio che dobbiamo sforzarci di trovare, che qualsiasi legittima scelta facciamo rispetto a cosa mangiare non si ripercuota sulla capacità di amare, persone e, si spera, ogni singola ora in cui ci è concesso di respirare.
Che forse la farina bianca, il vino e il chilo in più annesso valgono la gioia che abbiamo provato, tutta la vita che abbiamo gustato.
Il buon senso dovrebbe considerare che troppe proteine forse fanno male e intanto domandarsi, con viva curiosità, se il conteggio calorico di cui questo mondo ci fa schiavi, quando parla di salute e corpi magri in forma smagliante, quando propina come modello un’ antinaturale donna ossuta, tiene conto anche che la vita ci sia piaciuta, che abbiamo fatto ciò che desideravamo, che il nostro cuore abbia palpitato per gli esseri umani.
Il Running Heart di oggi ha letto nella tabella allenamenti la scritta RIPOSO, è con gli amici più cari seduto su un prato, mangia cose buone e pensa felice… ecco un momento perfetto, che non so se mi nutre il cibo o tutto questo affetto, ma non è che c’è risposta a ogni domanda, anche se, tra tutti questi sorrisi, mi sembra proprio di sentire una voce allegra, voce di alberi cielo e piedi nudi sulla terra. Dice: sii felice, te lo meriti, continua a respirare e lasciati semplicemente amare.
(immagine principale: dedivan1923 on DepositPhotos)
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