Nike ha lanciato mesi fa la sfida: correre una maratona in meno di 2 ore. Oggi 6 maggio 2017 tre atleti eccezionali preparatisi per mesi hanno tentato l’impresa e non ci sono riusciti. Il più veloce c’ha messo 2 ore, 0 minuti e 25 secondi.
Questa è la notizia ma dietro c’è molto altro ma se è questo che volevi sapere – anche se probabilmente l’hai già saputo – puoi anche smettere di leggere qui.
Una lunga storia
Che non ce l’avrebbe fatta era chiaro già agli ultimi giri: Kipchoge, l’unico rimasto in gara in grado di avvicinarsi davvero al muro delle due ore, secondo le proiezioni sarebbe finito lungo di 15-20 secondi. Che sono diventati 25 alla fine, cioè 26 oltre il limite del record che Nike si era imposta (1 ora, 59 minuti e 59 secondi). Se ti dicono che la tua pizza arriva fra 26 secondi pensi che è tecnicamente già nel tuo piatto ma se in una maratona sei 26 secondi fuori target, a quelle velocità soprattutto, sei abbastanza distante dall’obiettivo prefissato (per la cronaca ha comunque distaccato e di molto gli altri due: Tadese ha terminato il percorso in 2:06:51, Desisa ha invece tagliato il traguardo dopo 2:14:10).
Si può parlare di fallimento? La prima impressione era che si trattasse proprio di un questo: in fondo era stata Nike stessa a infilarsi in questo vicolo cieco. Aveva sfidato se stessa e, numericamente, aveva perso. Sulla scorta delle dichiarazioni del giorno prima pareva che fosse davvero uno smacco. I responsabili del team Breaking2 venerdì ostentavano infatti un’euforica cautela: dicevano che lo scopo dell’impresa era di testare i limiti umani (perché chiamarla “Breaking2” allora, insinuava qualcuno) ma qualcosa traspariva dai loro occhi: erano molto fiduciosi come se sapessero quasi matematicamente non solo che ce l’avrebbero fatta, ma addirittura con un ampio margine. Magari era una mia impressione, ma diciamo che sembravano diplomaticamente cauti ma in fondo molto rilassati.
A mente quasi fredda
Le dichiarazioni più significative rilasciate dopo la gara, al di là di quelle ufficiali – parlavano di cosa avrebbero voluto curare meglio: “Certi piccoli dettagli a cui evidentemente non abbiamo dato abbastanza importanza“. Dettagli piccolissimi, ma pesanti nell’economia totale della gara: 26 secondi sono esattamente un secondo a miglio. Un secondo pare pochissimo, no? Eppure moltiplicato 26 volte ha misurato la distanza dal traguardo prefissato.
Del resto, come Nike ha spesso ripetuto, il suo intervento nella routine degli allenamenti di questi atleti è stato molto rispettoso, tanto da non aver imposto alcun cambiamento né tecnico e nemmeno dal punto di vista alimentare. “Abbiamo a che fare con delle macchine da Formula 1, non è che ai box cambi il motore intero: aggiusti una piccola cosa qui e una là e ottieni modifiche all’assetto. Noi abbiamo fatto questo con loro: piccole modifiche alle loro abitudini e routine“.
Lo stesso Kipchoge era molto ottimista “Ho capito dove posso migliorare” ha detto rilassato dopo aver comunque stabilito il nuovo record del mondo (non ufficiale) in maratona. Dalle sue parole pare di intuire che oggi ha trovato un limite ma ha anche capito come lo può superare. Limando quei 26 secondi? Provando a correrla con altre modalità, tipo con split negativo? Per ora è tutto nella sua testa, anche se non bisognerà aspettare molto per scoprirlo: forse già a Berlino a ottobre.
Dalla teoria alla pratica
Ci sono molti modi di vedere le cose e quello superficiale c’ha sempre interessato pochissimo: lo lasciamo volentieri ai commenti da due righe su Facebook o al bar. Quando abbiamo comunicato su Twitter l’esito abbiamo scelto di raccontare i due aspetti della questione: il fallimento dell’impresa ma anche il successo, ossia che su quel muro delle due ore Kipchoge c’è salito, anche se non ha saputo scavalcarlo. Perché se 26 secondi sono tanti, lui oggi ha migliorato il record del mondo di 2 minuti e 25 secondi, che sono 145 secondi in meno del record del mondo.
L’ha fatto accompagnato da una falange di pacer (6 per l’esattezza) che a cuneo penetravano l’aria per lui correndo su un circuito anulare perfettamente levigato e nelle migliori condizioni atmosferiche (12° gradi, coperto e senza vento – solo l’umidità al 78% era l’unico parametro negativo) ma che questo fosse un esperimento scientifico era stato chiarito subito. Sponsorizzato da un brand ma pur sempre di un lecito tentativo di sondare i confini del possibile umano si è trattato. La notizia è che questi confini sono molto prossimi alle due ore per correre 42.195 metri.
Zitti: parla zio Carl
Forse le parole di Carl Lewis chiariscono meglio di cosa parliamo: “Io sono abituato a correre [sì, puoi sorridere] ma lo facevo per 100, 200 metri alla volta, andando al massimo. Loro sono andati al massimo per 2 ore. È una cosa che mi fa impazzire”. Lewis può essere visto come un uomo Nike, certo, ma dice anche un’altra cosa: non è che una cosa del genere la puoi provare 40 volte in un giorno. Puoi correre decine di volte al giorno i 100 metri ma non una maratona. Questo era un tentativo e c’erano incoraggianti motivi per credere che avrebbe potuto riuscire. Oppure no. Ma è stato segnato un nuovo limite e scritta una pagina di storia. In condizioni ideali ma anche reali: non in laboratorio o su un tread mill: sull’asfalto e all’aperto. È diverso e rende l’impresa di oggi un po’ diversa dal dire che una auto sul banco prova fa 20 km con un litro e poi la usi in centro a Milano e ne fa 6. Per questo il Breaking2 aveva le caratteristiche dell’esperimento scientifico che dalla teoria scendeva sul piano della pratica. Non svolto in condizioni ideali, ma sicuramente positive e soprattutto reali.
There’s no finish line
L’aria subito dopo la fine era un po’ mesta: tutti ci credevano o ci volevano credere e invece quel muro era ancora là, dopo il traguardo. Come ha osservato Sandro, per certi versi è quasi confortante che il baluardo delle 2 ore sia rimasto. Il muro è diventato una montagna e si sa, le montagne sono amate e temute dall’uomo perché sono il simbolo supremo dell’elevazione verso il divino e della sfida. Tanti falliscono nello scalarle, tanti vengono ricacciati a valle ma la sfida è parte dell’animo umano. Un giorno nasce l’uomo che conquista quella vetta rimasta inviolata per secoli. Quel giorno non è ancora arrivato ma da oggi sappiamo che la cima è davvero poco distante: a 25 secondi da dove Kipchoge si è fermato oggi.
Direi piuttosto che la montagna è ben lungi dall’essere scalata, in condizioni normali Kipchoge le due ore non le vede manco col binocolo.
Beh, uno che ha un personale da 2h03’05” in maratona in condizioni normali le 2 ore le vede benissimo.
Non direi Martino: 2’03’05 sono stabilite sì in condizioni normali ma con tutto al posto giusto e nel momento giusto (temperatura, umidità, lepri, preparazione mirata, ecc.), infatti è un tempo che fai una volta e poi (quasi) più; 185 secondi, tu mi insegni (e scrivi) sono un autentico canyon che non salti con una semplice rincorsa, un po’ come dire che Bolt vede i 18 sec. (18.99 per l’esattezza) molto ma molto da vicino (capirai, “solo” 19 centesimi di secondo…) ma che in realtà sono lontanissimi. Marco.
Sono d’accordo: le condizioni erano calcolate al millesimo per massimizzare la prestazione, però diciamo che tecnicamente l’uomo ha avvicinato il traguardo delle 2 ore un po’ di più. Non dico che sarà lui a farcela ma almeno ha dimostrato che ce la si può fare. Poi può benissimo essere che in condizioni normali non vada molto al di sotto del suo PB comunque: che caccia militare di uomo!
Concordo pienamente con te Martino, adesso non facciamo passare Kipchoge come il lumacone di turno ha pur sempre percorso 42,195 km in 2:00:25,”quindi tanto di cappello” diciamo che come gara non puó essere definita omologabile in quanto i rifornimenti erano mobili, non ci sn stati altri partecipanti apparte i 3 disignati da Nike, ma per me e credo per molti altri Kipchoge è stato un grande oserei dire “epico”sicuramente a Berlino farà una grande gara
Sì, sono d’accordo. E ha anche una delle corse più eleganti e belle da vedere del mondo.