Sei abituato a correre e a tornare a casa e guardarti allo specchio: il volto che vedi riflesso è il tuo ma con le vene in rilievo, paonazzo, mezzo stravolto. Sei anche abituato a vedere foto e visi di chi corre: stravolti e deformati nello sforzo tanto da farti chiedere se valga poi la pena soffrire così tanto.
Poi guardi Eliud Kipchoge correre come un missile a Berlino ieri, non battere il record del mondo e nemmeno il suo personale ma se ti focalizzi sul suo primo piano al 42° km – e quindi poche decine di metri prima di tagliare il traguardo e vincere – vedi uno che sorride. Ok, Kipchoge ha tutti i tratti caratteristici dei runner super endurance: ha 32 anni ma potrebbe essere mio padre per quante rughe c’ha. È magro e tirato, ha un corpo che se viene una folata di vento vola via però guardalo correre leggero pur dopo decine di migliaia di passi, come se la gravità non lo riguardasse, come se fosse una domenica qualsiasi in una piovosa Berlino e lui fosse andato a farsi una corsetta.
Lo guardavo correre ieri e pensavo che magari quel piede sinistro un po’ a papera non è un manifesto della perfetta impostazione di corsa (o forse lo è del fatto che puoi correre anche “sgraziatamente” ma puoi andare lo stesso ai 2000 all’ora) ma pensavo soprattutto che quel sorriso sempre stampato sul suo viso è la migliore cosa che si possa dire della corsa. Magari solo lui è capace di correre e sorridere, magari molti di noi lo fanno solo dopo, quando arriva la botta di endorfine e stai da dio però quelle labbra all’insù dicono tutto il bello che c’è da dire sulla corsa, ed è molto.
C’è chi corre serio e concentrato, c’è chi disegna sul volto tutto lo sforzo disumano che sta facendo e infine c’è lui, che galoppa inesorabile e sorride. Sorride felice. Dicono che la sua sia una tecnica particolare: in inglese si direbbe “self-fulfilling prophecy”, cioè una profezia che si auto-avvera. Se pensi che una cosa andrà male allora sicuramente andrà male, e viceversa. Se sei felice quando corri e lo mostri lo sei davvero. Sorridere mentre lo fai serve a dire al tuo cervello che va tutto bene, che è un bel momento, che stia tranquillo e dica alle gambe di girare sempre bene.
Forse è davvero così: Eliud ha la sua tecnica di corsa ed è fatta di allenamenti, rinunce, regime alimentare, privazioni e fatica. Però è anche fatta di tantissimi sorrisi: a volte di sfida (quando lancia occhiate ai suoi avversari), a volte di pura beatitudine anche nella sofferenza. Forse gli piace così? Soffrire? Non so, ma se ti fa arrivare al traguardo in 2h03’32 e se manchi il record del mondo di qualche decina di secondi pur in condizioni non ottimali (pioveva) o anche se riesci a trovare la chiave giusta per godere di quel che fai anche facendo fatica beh, allora forse ne vale la pena.
Applicare il metodo Kipchoge: sorridere sempre. Magari non vai tanto più forte ma almeno sei bello da vedere.
Che bell’articolo! Io sono una tarta-runner, ma nelle ultime due uscite in diversi tratti mi sono resa conto di sorridere… non so se le cose siano correlate, ma mi sono sentita bene e sono anche riuscita a correre qualche km della mia corsa a 6.00min/km! Pazzesco!!!!!
Grazie Giorgia! Che bello che tu ti sia ritrovata a correre col sorriso. Ebbene sì, capita: capita di sentirsi davvero bene a farlo e di aver voglia di continuare e per celebrarlo si… sorride!
2’55” al km mi pare….. come una vignetta che c’è in giro, io non ci riuscirei neanche per 50 metri
Sì, davvero una media allucinante.
Io ho corso sul suo stesso asfalto, domenica scorsa, emozione pura anche solo per questa idea. Al mio passaggio al 24/25 km ho pensato “Kipchoge sarà già arrivato!” e infatti aveva già vinto… Sinceramente lo adoro per il suo sorriso, a prescindere dai risultati, comunque eccellenti, ma proprio per il manifesto di gioia che rappresenta per la corsa e per tutti noi che lo facciamo proprio per raggiungere quel sorriso. Grande corridore, grandissimo uomo!