Anni fa assistetti a una conferenza di Pietro Trabucchi. La cosa che disse che più mi colpì fu “Il talento è un’invenzione letteraria. Il talento non esiste”.
Avevo sempre pensato che le persone avessero dei talenti ma che per eccellere si dovesse poi lavorare duramente. Avere predisposizione per fare qualcosa significa che ci viene facile farla, non che per eccellere nel farla non ci dobbiamo sforzare.
Un grande violinista non lo è solo per un dono naturale. Mo Farah o Bolt non hanno vinto più ori di quanto ce n’è a Fort Knox solo perché sono naturalmente dotati. Hanno lavorato duramente e hanno meritato quello che la natura li aveva predisposti a fare, ma con lo sforzo. Un grande violinista studia ore – tante ore – ogni giorno. Tutti i giorni.
Davvero non esiste il talento?
Ho riflettuto per anni su quelle parole di Trabucchi. A volte pensavo che avesse ragione, altre che volesse solo provocare. Con il tempo mi sono convinto che stavo guardando la questione dal punto di vista sbagliato. Quello che Trabucchi diceva non era che non esistessero le predisposizioni naturali (uno alto 2 metri avrà statisticamente più probabilità di eccellere nel basketball di me che sono… ehm, molto più basso di due metri). Lui sosteneva invece che se è vero che non esiste il talento è invece vero che c’è un solo modo per superare i propri limiti: avere disciplina. Applicarsi oltre quanto ritenevi possibile fare. Operare con la mente quelle maestose manovre esistenziali e fisiche che il senso della fatica e la naturale pigrizia non ti fanno naturalmente fare.
Trabucchi parlava del talento da un punto di vista diverso da quello che comunemente si intende: non come qualcosa che viene facile fare, ma come qualcosa che con l’esercizione o l’applicazione si può fare. Un traguardo che non si pensa raggiungibile ma solo perché non lo si è mai misurato rispetto alle proprie capacità.
Pensaci: qual è il sottinteso della frase “Lui/lei ha un talento particolare per”? È il tuo alibi a NON fare quella cosa, a non provarci, perché “Lui ha il talento MA io non ce l’ho”. Ecco perché il talento è una comoda giustificazione: un alibi dell’incapacità che ti convince che non ce la puoi fare o almeno non a quei livelli, quindi non vale neanche la pena di provarci.
Pausa. Riavvolgi il nastro.
Gli esempi virtuosi sono belli e utili: ci fanno capire che i limiti sono spesso mentali. Ma sono anche insidiosi perché ci possono persuadere a non provarci proprio perché “Non sono portato”, “Non vincerò mai niente”, “Meglio darmi all’uncinetto”.
Se ci pensi bene però ragionare così significa impostare il problema in maniera sbagliata: non devi misurarti con i limiti di Kilian Jornet ma con i tuoi limiti. Non ci stancheremo mai di ripetere che l’unico tuo avversario sei tu, non il tuo amico che va come un missile o Bolt.
Vince solo uno e molto probabilmente non sei tu
La maratona è bella perché è come la vita: è faticosa, è tremenda, è esaltante ma soprattutto: alla fine vince solo uno. Il che significa che se non hai doti fisiche paragonabili agli elite (ed è molto probabilmente così), quando ne corri una lo fai solo per misurarti con te stesso e non con quelli del gruppo di testa.
E qui ritorniamo al problema di partenza: davvero non esiste il talento? Davvero serve solo la disciplina?
Dopo qualche anno (sono lento, che ci posso fare) ho capito cosa intendeva davvero Trabucchi. Diceva che il talento è un’invenzione letteraria e che non esiste nella realtà e soprattutto diceva che crederci significa costruirsi un alibi molto comodo: non ho quel talento e quindi neanche ci provo.
Lui in verità suggeriva un punto di vista molto più positivo, anche se partiva da una considerazione apparentemente negativa (il talento non esiste): il talento non esiste ma esistono tutte le infinite possibilità che la vita ti dà e che lasci inesplorate perché è più facile pensare di non esserne capaci.
Il fatto che non diventerai mai astronauta o che non correrai mai la maratona sotto le due ore dovrebbe frenarti dal farlo?
Porsi dei traguardi troppo ambiziosi può essere il risultato di un eccesso di stima ma anche di un tentativo inconfessato di autosabotarti: visto? Io ci ho provato ma non sono capace.
Dicendo che non esiste il talento Trabucchi vuole dire un’altra cosa: il fatto che tu probabilmente possa non arrivare mai a eccellere in niente non significa che non ci devi provare. Non sarai mai un top runner ma come sarebbe una maratona di New York corsa da soli top runner? Chi si guarda un gruppo di 20/30 atleti che bloccano una metropoli intera?
È l’esperienza collettiva quella che rende esaltante quella maratona. È lo spettacolo di decine di migliaia di persone che sanno di non vincere, che sanno di non avere quel talento e quelle capacità ma che alla fine si son detti “E allora? Io ci vado”.
Hanno capito che era un alibi e che a separarli dal loro limite non c’era un talento che non avevano ma solo la loro forza di volontà. Quella che gli ha fatto dire: “Non sarò mai il migliore ma non corro nemmeno per esserlo. Corro per esplorare le mie possibilità. Corro per me stesso”.
Non vincerai mai? Non hai un talento particolare? E perché questo dovrebbe frenarti comunque dal provarci?
Photo credits Danny Kekspro