Vi fu un’epoca, non molo tempo fa, in cui il rock&roll si chiamava grunge. Nacque a Seattle, una città che soffriva di una tremenda crisi sociale ed economica. E siccome il rock deriva dal blues ed è la musica dell’anima, proprio dei rocker si misero a cantare quel disagio e quella crisi.
Senza saperlo avevano fondato un genere musicale molto ben definito cui diede il nome Mark Arm, cantante dei Mudhoney: decise infatti di definire la scena musicale di Seattle cui egli stesso apparteneva come “grunge”. Grunge vuol dire “sporco, sudicio” ma mi piace pensare che nella mente di chi si definiva tale significasse soprattutto “ruvido ma onesto”.
Il grunge derivò da generi che l’avevano preceduto come l’hard rock e il punk e molti lo definirono anche, non a caso, post-punk. Di certo si può dire che nacque, si sviluppò e morì in un periodo relativamente breve: non più di 10 anni, fino al 1994 quando il leader dei Nirvana Kurt Cobain si suicidò.
Quei gruppi che provenivano tutti o quasi da Seattle e che cantavano il male di vivere e le difficoltà di una generazione che sembrava essere stata lasciata ai margini della società, iniziarono a sfaldarsi: alcuni per problemi di droga (che talvolta portarono alla morte di membri degli stessi), altri per decisioni condivise o meno.
Quel che è certo è che fu un periodo incredibilmente prolifico per la musica e per una singola città. Il critico Everett True la definì “la più eccitante prodotta da una singola città da almeno 10 anni”.
Se pensi infatti che nella stessa città e nello stesso periodo suonavano band come i Nirvana, i Pearl Jam, gli Alice in Chains, I Soundgarden, i Tad, gli Screaming Trees puoi avere un’idea di che anni fossero quelli.
Ancora più incredibile fu cosa generò quella musica: dalle sue ceneri nacquero i Foo Fighters, i Mad Season, gli Smashing Pumpkins.
Ma guardali anche da un altro punto di vista: a quel tempo si faceva il rock (il rock è morto innumerevoli volte e ogni volta sta benissimo) ma che lo si potesse innovare non ci pensava nessuno. Ci pensarono, forse inconsapevolmente, questi ragazzi che lo fecero a modo loro. E cambiarono per sempre la musica.
Nessuno di loro aveva l’aria di essere un gran sportivo. Alcuni morirono strafatti di eroina, altri si spararano. Però una cosa in comune con i runner ce l’avevano: un giorno fecero quello che nessuno si aspettava potessero fare. Cambiarono le regole del gioco. Un po’ runner lo erano, eccome.
(Photo credits Ermin Celikovic)