Le Olimpiadi sono la festa dello sport, sono in assoluto la competizione più prestigiosa a cui un atleta ambisce a partecipare. Perché sono mondiali, perché consacrano uomini e donne in una gara che è secolare e che ci ricongiunge con le nostre origini culturali e poi perché puoi avere fatto il record del mondo ma se non hai vinto una medaglia olimpica non sarai mai un atleta davvero completo. Sarai l’uomo o la donna più veloce del mondo o quello che lancia il giavellotto più lontano, ma non l’avrai fatto alle Olimpiadi.
Anche solo parteciparvi è un onore e un traguardo: hai pochissime possibilità di essere convocato e per riuscirci devi avere superato selezioni e vinto gare. Devi essere fra i migliori e quando l’hai dimostrato non hai ancora iniziato a dimostrare niente. Ti sei preparato per anni e la vera gara deve ancora iniziare. In pochi istanti ti giochi la preparazione e gli allenamenti, le rinunce e la forza di volontà di anni e anni. È come essere all’ultimo livello del più difficile videogame della tua vita con un solo proiettile in canna. Non. Puoi. Sbagliare.
Ho ripensato a tutto questo vedendo Gianmarco Tamberi saltare alla ricerca di un nuovo record a Montecarlo pochi giorni fa. Aveva appena stabilito il nuovo record italiano (2.39) e voleva provare letteralmente ad alzare l’asticella di un altro centimetro. Ma quando ha spiccato il volo alla ricerca di quei 240 centimetri è successo quello che nessun atleta si augura poche settimane prima delle olimpiadi: lesione del 50% del legamento deltoideo della caviglia sinistra, quella del piede che aveva staccato per ultimo da terra, l’ultimo propulsore, il motore che ha ceduto facendolo impattare sull’asta per poi atterrare sul materasso. A quel punto Gianmarco aveva già capito. Si è ranicchiato a lato prendendosi il piede in mano e gridando “No no nooo”. Anni di preparazione, uno dei favoriti per il salto in alto. Il destino cinico e baro che ti sega le gambe quando ce l’avevi quasi fatta.
Vedere quell’ultimo salto provoca una morsa al cuore. Gianmarco è un ragazzo preparatissimo, talentuoso, simpatico e “outspoken”, come direbbero gli americani: uno che non te le manda a dire. Uno con opinioni e idee (e soprattutto con grandissime capacità atletiche) che non ha difficoltà a esprimere. Da tempo polemizza con Schwazer e dice che non merita di rappresentare l’Italia alle Olimpiadi (come è andata lo sappiamo tutti ormai). È amato dai media perché è un bel ragazzo e lo sa, è pure bravissimo come atleta (questo l’ho già detto, ma l’idea che non ci possa rappresentare alle Olimpiadi dispiace, tantissimo) e sa come fare l’amore con le telecamere. Ha mezza barba e mezza no. Potrebbe sembrare un sintomo di indecisione e invece è il modo che lui ha di dire “So come trattare con i media, so fare vedere che ho due facce, che posso anche permettermi di essere bianco e nero”. Diviso in se stesso per esigenze televisive e mediatiche che sa dominare benissimo ma un pezzo unico quando si tratta di spiccare il volo.
Quando si trattano con sufficienza questi atleti, quando si pensa che allenarsi ogni giorno, più volte al giorno comprese le feste comandate non sia un lavoro, bisognerebbe pensare che nel suo volto dopo quel salto non c’è solo il dolore fisico: c’è un sogno che era a portata di mano che si frantuma in una frazione di secondo. Cancellato e annientato.
Gianmarco è giovane e potrà riprovarci alle prossime Olimpiadi, ma lo farà con 4 anni in più su quei piedi, con un recupero nel frattempo e con lo stress psicologico di quel “E se” che gli aleggerà per sempre sopra la testa. E se mi rompessi ancora? E se quella possibilità che ho avuto fosse stata l’unica della mia vita?
A questo bisognerebbe pensare quando si pensa che questi atleti non siano un po’ (molto) eccezionali. Prendono anni della loro vita, prendono paure e speranze, prendono umiliazioni e vittorie e le mettono sul piatto. A volte tutto dipende da loro. A volte decide il destino. A volte il destino è davvero bastardo, ma i grandi atleti si vedono anche e soprattutto in questi momenti. Cadi, ti rialzi e se sei davvero forte sei più forte di prima.
Tanti auguri Gianmarco.
Gianmarco Tamberi è stato senza alcun dubbio fortemente favorito dalla natura, dal destino o dalla fortuna, se si vuole; è un ragazzo enormemente dotato dal punto di vista atletico con tutto quel che ne consegue, fama, gloria e la grandissima chance di fare della sua passione un lavoro: pagato per allenarsi, al meglio, con il meglio, per raggiungere il meglio.
Il sogno di tutti, credo, almeno e sicuramente di tutti quelli che scrivono e leggono su questo portale; poi Tamberi si infortuna, deve rinunciare alle olimpiadi e forse – forse – il destino e la fortuna si riprendono un pezzettino di quel che avevano precedentemente dispensato: ma era proprio necessario forzare? Era proprio necessario partecipare ad una gara impegnativa (ok, lo sono tutte, in un certo qual modo) a pochissimi giorni dall’appuntamento olimpico? Ma un campione – o comunque supposto tale, non è ironia ne provocazione – non dovrebbe essere tale anche nelle strategie, nelle scelte, spendendo al meglio il suo talento, le sue forze, le sue energie e riducendo e limitando i rischi (che dovrebbero essere calcolati) agli eventi dove davvero si deve dare tutto e di più? E in ogni caso nessuno vicino a lui ha provato a spiegarglielo? Non è polemica, forse si sarebbe fatto male il giorno seguente al primo allenamento o forse no ma una gestione più oculata degli ultimi 3 mesi prima di Rio no? Tralasciando volontariamente il discorso “personaggio”, Gianmarco Tamberi tornerà a gareggiare in ogni caso e quindi a fare la cosa che ognuno di noi vorrebbe ma non può e mai potrà fare, trovo opportuno evitare pietismi inutili, tantomeno compatimenti fuori luogo, le vere sfighe della vita sono ben altre e per favore non si venga a dire “ma stiamo parlando in ambito sportivo”, il salto in alto è il lavoro di Gianmarco, la sua vita e come tale qualche volta può andare storta, come a tutti succede: si rifarà, si riprenderà e soprattutto si rimetterà a vincere, specie se imparerà a non tirate troppo la corda di quel superbo dono genetico che la natura e i suoi genitori gli hanno fornito.
Punto di vista condivisibilissimo il tuo Marco. Non so onestamente a quanto Tamberi ambisse a Rio: forse 240 era un limite importante per lui ma che non gli avrebbe consentito di sperare in una medaglia importante o forse anche in nessuna medaglia. Poi bisognerebbe sapere quanto fosse confidente quel giorno: ha fatto lo spaccone? Era rilassato? Sarebbe successo comunque? La tua osservazione è giusta ma non sappiamo quali strategie avessero lui e il suo team. Forse 240 era molto ma non il massimo, forse ha voluto strafare, forse era destino e basta. Nessun pietismo nei suoi confronti: l’infortunio lo mette in conto qualsiasi atleta che non si reputi (a torto) Superman, ma che ti capiti proprio a ridosso delle Olimpiadi è una cosa che ti amareggia molto e possiamo capirlo. Se ottieni quei risultati è perché sei estremamente focalizzato e improvvisamente è stato tutto inutile e devi ricalibrarti completamente. Non facile ma fa parte del gioco.
Dispiace tantissimo per l’atleta, e condivido tutte le considerazioni di Martino… ma quando ho assistito all’infortunio (avvenuto per un ulteriore tentativo a gara già vinta…) mi sono tornate in mente tutte quelle situazioni in cui i coach, se la gara ha un esito chiaro (vittoria o sconfitta che sia) iniziano a far rientrare in panca gli uomini chiave, proprio per preservarli da infortuni (e magari generano malumori negli atleti sostituiti)…
Ma Gianmarco tornerà più forte di prima!!!
Sì, forse doveva fermarsi. Immagino che se lo stia ripetendo anche lui da giorni. Difficile essere lucidi quando ti pare di avere il controllo di tutto: inizi a pensare che tutto andrà sempre bene e valuti meno i rischi.