Io e la montagna

Invitato da Goretex a Garmisch in Germania ho corso la prima tappa della mitica Transalpine Run. Circa.

Caro diario,
lo scorso week end sono stato in Germania, a Garmisch. Goretex, quell’azienda che fa quei tessuti traspiranti e impermeabili che costano tanto ma che son magnifici (scusa la semplificazione, ma così è percepita e così è Goretex: fa robe costose ma davvero incredibili e bellissime) aveva invitato RunLovers e altre testate italiane ed europee a provare alcuni loro capi e a correre. Non una corsetta pomeridiana in amicizia, ma le prime due tappe di una cosa vagamente mostruosa di cui è sponsor tecnico e che si fa a settembre. La Trans Alpine Run: 251 km che partono da Garmisch e che, attraverso le Alpi e con un dislivello positivo di 15.135 metri, terminano a Bressanone, passando nel frattempo anche in Austria. 7 giorni per completarli in team da 2 persone, massimo 300 team ammessi e in mezzo le Alpi, millenarie e granitiche.

Un antipasto

Per darne un’idea, nelle giornate di sabato e domenica 25 e 26 giugno l’organizzazione ha deciso di dare un’anteprima della gara: non in video, non raccontandola ma facendo correre le prime due tappe a un manipolo di giornalisti temerari. 35 km il primo giorno e 35 il secondo. Il vostro amato (cioè io) ha corso la prima tappa. Beh, dire “corso” non è esatto: ha in parte corso e in parte ha camminato, in parte ancora si è trascinato fino a metà. A 18,5k ho detto “Per me può bastare”. L’ho affrontata senza una preparazione specifica nel trail se non quella poca che riesco a fare quando vado in montagna e non essendo proprio al massimo della forma. Ma l’ho fatta.

Mai più? Ancora ancora!

Facendo un fast forward alla fine della mia corsa si vede un uomo chiaramente affaticato che ha solo la forza di gioire per essere riuscito a percorrere più km di quanti pensasse (15 era il mio obiettivo). La gioia è pari alla determinazione con cui pensava “Mai più, questi sono pazzi, io voglio solo fare picnic in montagna, magari arrivandoci su una Bentley Cabrio”. Oggi che ne scrivo dopo qualche giorno e con le gambe che mi fanno ancora male quando mi alzo dalla sedia, sto già pensando che lo voglio rifare. La corsa è così, no? E il trail è pure peggio, perché col trail non osservi la natura: sei nella natura, ti entra sottopelle, ti possiede.

Qualcosa di ancestrale

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C’è qualcosa di sublime nel correre in montagna: il doverti affidare solo a te stesso e alla tua resistenza è esasperato dalle condizioni ambientali. Ci sei tu e la montagna. Lei è silenziosa e non ti percepisce nemmeno e tu ostinatamente la scali. Una salita dopo l’altra, una curva dopo l’altra, un ghiaione dopo l’altro. Hai una destinazione e un sentiero per arrivarci e ogni deviazione o distrazione possono costarti energie preziose. Hai un tempo massimo (la durata del giorno, possibilmente e se non hai lampade frontali con te) ed energie in misura finita. Devi continuamente misurarti e a differenza della corsa in piano, in montagna non sai bene che pendenza ti aspetterà o quanta discesa troverai. Come se poi la discesa fosse rilassante.

Numeri e distanze

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Innanzitutto: 18 e rotti km in montagna non sono 18 e rotti in piano. Sono molti di più, e fatti usando muscoli che non sapevi di avere (ma che ti ricorderanno la loro esistenza per molti giorni dopo). Poi: ogni km è così sudato che te lo scolpisci nella mente. Io ho i miei km memorabili di questa TransAlpine Run (press edition, ripeto: quella vera è una roba molto peggiore):

  • km 3: la colazione fatta un’ora prima, evidentemente troppo abbondante, si rifà viva. Lo so, non è bello dirlo, ma ti assicuro che vivere la sensazione è pure peggio. Risultato: contenuto, nessuna vittima
  • km 7: sto un po’ meglio ma mi accorgo che è ancora lunga e che c’è solo da salire, salire, salire
  • km 8: raggiunta la prima vetta finalmente si scende. Penso “Oh, ora mi rilasso”. Povero illuso.
  • km 13: 5 km in discesa sono apparentemente meno stancanti di quelli fatti in salita. In verità i primi sono divertenti, poi un po’ alla volta le gambe si trasformano in due bei budini che dovrebbero evitarti di schiantarti ad ogni curva. Purtroppo a volte non ci riescono e io, prontamente, mi schianto un paio di volte (tutto ok, tranquillo). E dopo la discesa? La salita, ovviamente. E la giostra riparte.
  • km 15: penso che avevo decido di fermarmi a quel km ma il capo spedizione mi dice invece che ne mancano ancora. “Uno, uno e mezzo, dai”. Li faccio, addirittura correndo nelle parti in quota come un Pinocchio sotto acido e dopo 2 mi dice “Ehm, ne mancano ancora 2”. “Quindi mi stai dicendo che quelli che ho appena fatto non esistevano? Me li sono sognati?”. Lui ride bonario. Finalmente c’è un po’ di discesa blanda e la percorriamo tutta, fianco a fianco.
  • km 18,5: arrivo alla stazione intermedia che per tutti è la stazione intermedia ma per me si chiama “CAMPIONE INTERGALATTICO”. Mi fermo, finalmente. Sono felice perché è finita e sono un po’ giù perché pensavo di riuscirci più facilmente.

Però

Però penso a mente fredda che in quei 18500 metri ho pensato diverse volte di fermarmi, di trovare una scusa, di mettermi a piangere o di invocare un’invasione di cavallette. In alcuni punti ero davvero stremato e parlavo da solo, bofonchiando “Ma come c***o fanno gli ultratrailer? Ma io sono stufo! Io voglio sdraiarmi su un prato con una margherita in bocca a guardare il cielo!”. Ho maledetto chi fa 100 km di fila, li ho chiamati pazzi, uno ad uno. Kilian? Pazzo. Tony? Pazzo. Scott? Pazzo pure lui. Poi però ho pensato che ogni volta che volevo mollare alzavo l’asticella un po’ di più. Ogni volta stringevo i denti e mi dicevo “No, tu non molli”. E alla fine non ho mollato. Con queste gambe e con questi piedi sono arrivato più oltre di quanto pensassi. Non era una sfida con la montagna: alla montagna di me non gliene fregava niente. Ero io la montagna da scalare: io e i miei limiti, io e le mie giustificazioni, io e il mio cervello che elaborava piani di fuga. Quando ho saputo dirgli “Taci e trova il modo di portarmi alla fine” ne ho ripreso il comando. Quando ho saputo entrare in modalità sopravvivenza, quando ho capito che volevo davvero arrivare alla fine – alla mia fine – ce l’ho fatta.

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Devi superare il tuo limite

Ognuno ha un suo limite, si sa. Il mio è stato quello dei 18,5 km. L’ho raggiunto e mi sono portato solo un passo oltre, per osservarlo. È un limite modestissimo per molti, ma significativo per chi lo supera. Non pensavo di arrivarci e chi ne fa 100 può sorriderne (ma chi ne fa 100 non sorride al superamento di nessun limite altrui, perché sa bene cosa significhi farcela). Alla fine devi fare qualcosa che abbia senso per te, non in valore assoluto. Non sarai mai il più veloce di tutti, né il più resistente di tutti. L’importante è essere più forte del tuo io di ieri. Quello che pensava di mollare, quello che però a un certo punto si è detto “No, io non mollo”.
E non ha mollato.

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12 COMMENTS

  1. Grazie. Leggere i tuoi pensieri è stato riconoscere i miei. Non mi sento più sola. So che altri provano quello che provo e ho provato tante volte anche io.

    • Più corri e più ti ammazzi di fatica, più ti accorgi che non sono gli altri i tuoi avversari e nemmeno lo è la montagna. Sei solo tu: tu ti tiri fuori da quella situazione, tu ti persuasi, tu ti scoraggi. Solo tu alla fine ce la puoi fare. Grazie Maria!

  2. Fantastico articolo! Emozionante e motivante! Bel lavoro e grazie per aver fatto vivere anche a chi legge questa esperienza!

    • Grazie a te Mauro! Hai già provato il trail? Ti è venuta voglia o non ci pensi proprio? Per quanto sia faticoso io lo rifarei, subito. Il trail è troppo bello. Faticoso ma bellissimo!

      • Sto iniziando in questo periodo ad avvicinarmi, ho fatto qualche gara, ma rimanendo sui 20 km e dislivelli di 1000… certo è fatica, ma li rifarei subito…

  3. mi sono commossa, grazie!
    la meravigliosa modalità sopravvivenza un anno e mezzo fa per me si accendeva a fare il quinto minuto di corsa continua (come da vostro programma Homer Simpson);
    oggi si accende ben dopo l’ora a ritmi molto più veloci, ma per me ha lo stesso identico valore e significato, e scaccia gli sciami di cavallette che ronzano nel cervello.
    grandi complimenti, davvero!

    • Grazie Roberta e complimenti a te. È vero: alla fine è una questione soprattutto mentale. Conta moltissimo il fisico, ma la mente fa altrettanto se non di più, “costringendo” le gambe a seguirla. Il bello è che anche il più piccolo miglioramento diventa benzina per motivarti a fare sempre di più :9

  4. Cade a pennello la tua testimonianza, sabato prossimo farò la PRIMIERO run 26 km, è sicuramente le tue parole mi terranno compagnia nel percorso!?? grazie!!!

    • Innanzitutto auguri per i tuoi prossimi 26k. Mentre li fai, e specie quando ti sembrerà (anche se non te lo auguro) di non farcela, pensa solo che per fermarti ti devono sparare. Finché riesci a mettere un piede davanti all’altro ce la puoi fare e la velocità non conta.

  5. Bravissimo!!! E’ proprio così, mi ci sono rivista in quasi tutto quello che hai scritto.
    Secondo me il trail ti entra dentro, però o si ama o si odia, non c’é una via di mezzo….Io penso proprio di amarlo, con le gambe che fanno cilecca in discesa perché troppo stanche o le grandi fatiche delle salite, quando sei piegato in due…Fa tutto parte del gioco, e, come scrivi tu, del superamento dei propri limiti…

    • Grazie Marta, sembra proprio che il trail divida molto ma, quando è amato, lo è in maniera quasi assoluta. Grazie per le tue parole!

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