Il parto del maratoneta

La maratona si prepara, si pianifica, si fa. Esattamente (circa) come un parto.

Questa associazione di idee proposta da Luigi Fiore non ci era mai venuta in mente, ma ha un suo senso. Ed è bellissimo. 


– Allora! Come è andata?
– Bene direi, ho finito anche questa. Adesso però ho il solito blues post maratona. Tipo baby blues, un mix di strane sensazioni, tu sai a cosa mi riferisco essendo quasi arrivata alla fine del terzo giro… La maratona è una specie di parto.
– In effetti le similitudini tra parto e maratona non sono poche, anche l’ostetrica che ha fatto nascere la mia prima figlia aveva fatto la stessa associazione.

(Questo è l’incipit di una conversazione avvenuta qualche giorno dopo la maratona di Milano con una mia amica francese, runner e a breve neo-mamma).

Più di una volta mi è capitato, per gioco, di associare la maratona alle varie fasi della nostra vita, ma mai al parto. Pensandoci bene e giocandoci su, le similitudini non sono poche.

1.

La preparazione. In sala parto come alla linea di partenza non si ci arriva dall’oggi al domani come per magia o per virtù dello Spirito Santo. Sono serviti impegno, fatica e pazienza. Mesi e mesi ad aspettare il fatidico giorno consultando tabelle, leggendo libri, riviste e controllando il cibo al fine di arrivare al top della forma.

2.

L’alimentazione. Questo lo posso mangiare, questo no. La bilancia non mente e neanche la pancia. Se si vuole arrivare preparati, le rinunce sono dietro l’angolo. Il mojito o la fetta di sacher potranno aspettare tempi migliori. Ho sentito mille volte frasi del tipo “dopo il traguardo mi mangio il mondo!” oppure “appena esco dalla sala parto portami una tonnellata di sushi!

3.

Il conforto. Chi vi sta intorno vi coccolerà per farvi sentire importanti in prossimità dell’evento. Ogni vostra voglia o necessità diventerà una priorità. Il vostro riposo, i vostri ritmi detteranno come un orologio svizzero quelli del vostro universo domestico, almeno fino al fatidico momento. Poi tutto tornerà nella norma.

4.

L’attesa. Con l’avvicinarsi del momento fatidico anche l’attesa, soprattutto negli ultimi giorni, sarà alle stelle. Tutto passerà in secondo/terzo piano. I vostri sonni saranno accompagnati da oscuri pensieri, “e se non mi sveglio in tempo il giorno della gara?” o “e se non arrivo per tempo in ospedale e partorisco in auto?”.

5.

La cura dei dettagli. Piccoli gesti quotidiani, ripetuti come un mantra, mostrano la vostra grande attenzione verso il grande giorno. Le continue carezze verso il pancione, le parole sussurrate dolcemente, la meticolosa preparazione del kit ospedale fanno il paio con la cura con cui il maratoneta pulisce le scarpe, lava, stende e piega i suoi indumenti.

6.

Il grande giorno. Che si rompano le acque o che sia un parto programmato quando ci sei devi dare il massimo. Non poi chiedere il time-out, al massimo l’epidurale, come il carbogel al trentacinquesimo chilometro. Poi devi spingere e basta, non puoi mollare, manca poco e anche se pensi “non ce la faccio, mi fermo qui” non puoi permettertelo. Il traguardo è vicino e la tua medagliona da tre chili e passa è li che ti aspetta. Attraversato il traguardo svaniscono tutti i dolori, ti mettono la medaglia al collo, tu la guardi, la baci, la stringi a te e piangi. Non puoi credere ai tuoi occhi, ce l’hai fatta!

7.

Il post. Nelle ventiquattrore successive sarete sommersi da telefonate, messaggi, complimenti e auguri. Vi servirebbero un paio di segretarie per smistare il traffico telefonico in entrata. Non desidererete altro che tornare alla normalità quotidiana, anche se non sarete gli stessi di prima.

8.

Il post del post. Con il passare dei giorni potrebbe fare la comparsa il famigerato baby (runner) blues. E ora? Cosa faccio? Quale sarà la prossima gara? Fondamentale il supporto di chi vi sta intorno, la parola giusta vale più di un supporto chimico e anche una corsetta leggera potrebbe aiutare.

9.

Conclusione. Che siate una neo-mamma, una neo-mamma runner o un semplice runner godetevi ogni attimo che state vivendo.

Luigi Fiore

(Photo credits Eric Froehling)

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