Il nostro amico Marco Maraschi ha incontrato Luisa Balsamo qualche settimana prima della Tor Des Geants e l’ha intervistata per noi. In modo informale. In modo molto “Runlovers”.
Oggi incontriamo Luisa Balsamo: ultrarunner, Siciliana d’eccezione, Palermitana D.O.C., Donna!
Nel leggere “Donna”, chi la conosce bene sa che sta facendo un gran sorriso. Perché lei innanzitutto è orgogliosa di essere Donna e di aver fatto tutto ciò che ha fatto nel mondo dello sport facendolo da Donna, perché ad aver raggiunto i risultati che ha raggiunto, ancor prima di Luisa, li ha raggiunti la Donna!
E lei ne va molto fiera.
Ciao Luisa! Oggi faremo una chiacchierata, più che una intervista, su come vivi il mondo dalla corsa e dell’agonismo. Innanzitutto per far capire chi sei a chi non ti conosce: cosa diresti a un runner per descriverti?
Potrei dire un sacco di cose didascaliche, numeri, gare, risultati ma non sarei io. Luisa Balsamo è Spirit, il cavallo selvaggio del cartone animato. Quella che al marchio a fuoco preferisce vivere senza etichette, allo stato brado. Corro da sempre, da quando la mia maestra delle medie, per levarci dalle scatole, ci mise a correre attorno alla palestra dicendoci che avrebbe vinto chi si sarebbe fermato per ultimo. E, da allora, corro!
Tu, come la maggior parte di chi corre, hai iniziato con le gare su strada. Quando hai capito che all’asfalto preferivi pietre e sabbia?
Nel 2004 ho fatto la mia prima Marathon des Sables. Avevo appena fatto il mio PB sulla mezza maratona a Messina. Ma già da un po’ sentivo vacillare lo stimolo. La routine allenamento/gara iniziava ad annoiarmi perché detesto le cose ripetitive. Provai due o tre volte il PB nella maratona senza riuscire. Realizzai di essere in fase di “stanca” e fu allora che decisi che era il momento di trovare nuovi stimoli. Per fortuna arrivarono presto. Mi iscrissi appunto alla Marathon des Sables senza mai aver fatto un trail prima, neanche per prova, segnando subito un 4° posto assoluto e una vittoria all’ultima tappa. Racconto del risultato non per fare la “sborona” ma perché in quella posizione di classifica c’era tutto il mio nuovo modo di correre e di appartenere alla corsa. Lo stesso anno feci il Cro-Magnon e da li in poi il virus per deserto e montagna non mi lascio mai. Transomania, Chaberton, Tor des Geants, Marathon des Sables, K3, Mauritania, LUT, Monte Bianco, sono solo alcune delle gare “portate a casa”, alcune anche più di una volta. La mia ultima maratona la feci nel 2007: da allora ho abbandonato totalmente le gare su asfalto e quando ancora ne faccio qualcuna è solo per far compagnia ai ragazzi della mia società della quale sono Presidente (A.S.D. Palermo H 13,30), per fargli da lepre, come è successo per la 21Km di Palermo.
L’Ultima gara che hai fatto è l’Etna Trail, qualche giorno fa. Una 64K fino in cima al vulcano e ritorno con un D+ 3.250 m. Tra tutte le gare corse qual è per te quella “perfetta”?
L’Etna è un posto meraviglioso e la gara in sé è molto bella, ma non è tra quelle che preferisco perché inizia subito con una lunga discesa che svuota le gambe. Poi un susseguirsi di strappetti in salita non troppo impegnativi, si corre sempre tranne che in pochi tratti. Secondo me è una gara da migliorare nel percorso, soprattutto in virtù del fatto che dall’anno prossimo sarà lunga 85 Km, per via dei punti da accumulare per l’iscrizione al “Monte Bianco”. L’Etna Trail è una gara molto bella, ha paesaggi unici al mondo. Dal cratere centrale a 3.000 mt di quota, con i piedi tra lava e neve, vedi il mare, Taormina, e – giù a valle – i castagneti prima e gli aranceti dopo. Una gara che già solo per questo vale la partecipazione. Ma la mia gara perfetta è quella che richiede di gestire testa e gambe e che mi faccia scoppiare il cuore. Il Tor (Tor des Geans, ndr) è la mia gara, perché è una gara lunga – parliamo di 330 km – e io per gara lunga intendo esclusivamente quella in linea, in cui prima di allacciare le scarpe devo settare la testa. In una gara come il Tor, ad esempio, perdi la percezione del tempo, mangi alle due di notte, dormi se vuoi e se puoi. I bisogni primari cambiano ordine ed il focus si sposta altrove. È una gara che ti costringe a costruirla momento dopo momento in base a come stai, a dove sei, a cosa ti troverai di fronte dopo il prossimo scollinamento. Dovrai scegliere se fermarti a dormire alla base vita che hai davanti, a fare una doccia magari, o se tirare fino alla prossima. Dopo il secondo giorno iniziano le allucinazioni da stanchezza, ed è bellissimo viversi anche quelle. Il Tor non è una gara, è una esperienza che mi cambia ogni volta, che mi misura, in cui devo avere la piena consapevolezza di me stessa: in cui devo sapermi! L’anno scorso ho dormito solo 3 volte per 40 minuti in un totale di 5 giorni di gara. A quei livelli di concentrazione non sento più il bisogno di dormire, entro in una dimensione di pieno contatto con la natura, sento di far parte di un sistema diverso. Ti confesso che per me la parte più difficile di quella gara è tornare alla quotidianità.
Se dovessi descrivere la stessa gara con una canzone?
Per me la corsa non è musica, è solo ritmo senza note. Non ascolto musica quando corro tranne che in sporadiche occasioni. Ho ascoltato musica per una ventina di chilometri lungo un “Passatore”, ma per il resto devo sentire il cinguettio degli uccelli, il battere dei passi a terra, il vento attorno. Ma se proprio dovessi scegliere una canzone sceglierei un cantautore italiano, di quelli che hanno segnato il tempo.
L’alimentazione per un trail è uguale a quella per una maratona?
Sostanzialmente si: carboidrati, tanti ovviamente, proteine e sali di reintegro. E poi immancabili panelle e crocchè di patate: che te le ritrovi – sicuro – al 50° chilometro!!!
Senti più forte l’agonismo per la vittoria o il desiderio di misurarti?
L’agonismo c’è sempre. Sarei bugiarda se ti dicessi che per me l’importante è partecipare. Passo sotto il gonfiabile dello start sempre per fare risultato, ma non mi misuro in questo! Se mi misurassi sarei presuntuosa. Non so quanto valgo, so quanto posso. La gara mi aiuta a conoscere me stessa, sopratutto se è una gara lunga. Riesco sempre a scoprire qualcosa in più di me e a tornare a casa con un’informazione nuova, e già questo vale la gara.
L’altro giorno hai scritto una specie di invettiva contro gli eroi (o presunti tali).
Noi Siciliani abbiamo una presunzione di tipo genetico: ci sentiamo sempre i più bravi, i più forti, “io più stanco di te pur avendo fatto la stessa cosa”. Insomma, tendiamo a rendere mitico e superiore ogni cosa su noi stessi, sminuendo quelle sugli altri, per indole. La cosa brutta sta nel fatto che riusciamo ad autoconvincerci di questo, riusciamo seriamente a credere che quanto appena fatto ha dell’eroico. Questo in linea di principio, come istruzioni per l’uso dei Siciliani. Ora, tornando al mondo della corsa, le gare qui in Sicilia non rispecchiano il target delle gare organizzate al nord e nel mondo: siamo ancora parecchio indietro. Ciò nonostante sento parlare di cose normali ammantate di atti di eroismo, come fossero compiuti da dèi ultraterreni. Io non mi sento un eroe per quel che faccio, correre per 300 km non è da eroe. Eroe è chi si immola tutti i giorni per una causa, chi mette se stesso al servizio degli altri, senza urlarlo, in punta di piedi. Autodefinirsi eroe per aver corso a lungo è sminuire chi eroe lo è tutti i giorni per davvero. Io corro, forse più forte e più a lungo di altri ma Gli Eroi sono altri.
Tu corri senza orologio, al di là dell’aspetto tecnico, questo è molto poetico.
Me lo ha insegnato Marco (Olmo ndr). Non è più tempo di orologi. In montagna non c’è il tempo. C’è il giorno e c’è la notte. Queste sono le uniche due unità di misura che servono. Conosco la distanza tra un check point e l’altro, so che distano tra loro 10 km, mi conosco, so che posso impiegare da 1:45 a 2:30 ore. A che mi serve l’orologio? Guardo il sole, questo mi basta per capire dove sto.
Ok, ma la tua preparazione è fatta da tabelle, come tutti i comuni mortali, o sei “Spirit” anche in quello?
Guarda, non affronto la preparazione di un Trail come avrei affrontato 15 anni addietro una maratona. Mi riferisco a tabelle, ripetute, lunghi, fartlek. No, non più. Nel trail ogni gara è diversa dall’altra. C’è quella più tecnica ma più pianeggiante, che è diversa da un K3 in cui la preparazione fisica è invece fondamentale. C’è la gara lunga in cui ancor prima delle gambe devo preparare la testa, piuttosto che la gara a tappe in cui l’essere veloci è fondamentale (visto che la sera ci si riposa e l’indomani zompano come grilli). Comunque la mia preparazione è una buona via di mezzo tra disciplina e libertà.
Momento Marzullo: la corsa quanto è recipiente e quanto contenuto?
La corsa è contenuto, non è contenitore. Io la vivo per vivere quel momento e in quel momento non riverso null’altro se non la voglia, la concentrazione e l’entusiasmo di correre. Se non sto bene, se sono soprappensiero, la corsa mi viene male, allora vado al mare, faccio altro insomma.
Ti dico un nome, mi dici il primo pensiero in mente: Marco Olmo
Una notte ero in tenda, alla fine di una gara nel deserto. Entra Marco, mi dà un fossile. Dice di averlo trovato lungo il suo percorso e che quello sarebbe stato un buon “pezzo” per far vedere ai miei figli dove finiamo ogni volta che andiamo via da casa. Ti assicuro che per Marco, che è colui che pur di risparmiare peso ritaglia le parti di troppo delle linguette delle scarpe, portare addosso “una pietra”, per tutto il giorno dentro lo zaino. Beh, credo che questo basti.
Perché lo fai?
Perché non potrei fare altro.
Sei stanca?
No, non sono stanca – ripeto – ho solo tante cose per la testa e tantissime cose da fare. Perché invecchio e invece di eliminare “cose da fare” come dovrei, le vado moltiplicando. E allora ho meno tempo per affrontare una gara con lo spirito e con la giusta “quantità” di testa. Perché per gestire una gara da 300 km con 4.500 metri di dislivello devi avere la testa. Poi vengono le gambe e tutto il resto.
Programmi a breve scadenza?
Adesso sto facendo reset, con la testa. Sto preparando il Tor per il prossimo settembre, ormai ci siamo e quindi è il momento in cui faccio pulizia mentale per quanto possibile. Subito dopo pulirò le scarpette, poi vedremo!