Riceviamo il racconto dell’esperienza di Cristina (che puoi leggere anche qui, qui, qui e qui) e questa volta ci racconta la sua caduta e la stupefacente ripartenza.
Sono di nuovo a Washington e passeggio nel bellissimo parco del National Mall dove ci sono più runners che giocatori amatoriali di baseball e gente a passeggio messi insieme. Osservo, o meglio, invidio i runners che mi sfrecciano accanto e non posso che scuotere la testa, sconsolata. 4 mesi. Tanto è il tempo che non corro, e la domanda in testa: “Che faccio? Scrivo o non scrivo a RunLovers? Non sto correndo, perché mai dovrei scrivere?”, e quindi la risposta, illuminante: non correre fa parte del correre, scrivi proprio perché non stai correndo.
Nel suo ‘Born to run’ Christopher McDougall riporta che ogni anno 8 runners su 10 sono infortunati. Da questa statistica deduco due cose: 1) i periodi di fermo fanno dolorosamente parte della corsa, e 2) per mantenere questa statistica costante di anno in anno, i runners non si fermano dopo i primi infortuni ma, una volta rimessisi in piedi, tornano a correre fino al prossimo infortunio. E allora perché non far di necessità virtù e approfittare della passeggiata forzata per ripassare le lezioni imparate in questo pit-stop obbligatorio?
Sono ferma per una pubalgia causata da sovraccarico. In parole povere, ho esagerato e ho messo a dura prova i miei muscoletti. Peggio ancora, nonostante il mio corpo mi dava tutti i segnali di questo mondo e mi urlava “nonadareacorrere!” attraverso uno stato di stanchezza fisica inaudita alle 6 del mattino, non gli ho dato ascolto. Ed eccomi qua, costretta a passeggiare accanto a miei simili che invece, beati loro, corrono.
(Lezione #1: ascolta sempre il tuo corpo.)
Sono stata a riposo assoluto per 2 mesi, e quando dico assoluto intendo che non andavo neanche più al lavoro a piedi, sperando che il dolore passasse da solo, come per magia. Ma dato che dopo 2 mesi era ancora vivo e vegeto, ho preso coraggio e sono andata da una fisioterapista.
(Lezione #2: cerca aiuto il prima possibile.)
La prima seduta è stata illuminante, l’elenco degli esercizi da fare a casa un po’ meno. Ho sviluppato presto una relazione di amoreodio col tappetino da yoga che è diventato suo malgrado il diretto destinatario ogni giorno per un’ora e mezza di parole impronunciabili, imprecazioni e smadonnamenti. I dolorosissimi esercizi di stretching e potenziamento quotidiani sono stati una lezione di sopportazione e calma interiore non da poco e hanno migliorato leggermente la situazione. Leggermente. Che fare? Sono andata a sentire un secondo parere.
(Lezione #3: cerca diversi aiuti il prima possibile.)
Volevo un osteopata, ho trovato un chiropratico: perplessa, sono entrata nel suo spoglio studio, gli ho spiegato brevemente la situazione, e dopo un’ora di trick-trock-track mi sono messa in piedi e ho visto la luce, quella luce, la luce alla fine del tunnel! Il dolore non c’era più! Quel dolore che mi accompagnava da mesi ogni giorno in ogni singolo movimento non c’era piú. Al posto suo sentivo un livido. Il chiropratico deve aver indovinato cosa pensavo per dirmi: “Sì, è un po’ tumefatto. Compra una pallina da tennis e massaggia la zona con quella.” Oookkaaayy. Avrebbe potuto dirmi di lanciarmi dalla finestra e l’avrei fatto, pur di tentarle tutte e tornare a correre. E così la pallina da tennis è entrata nella valigia per Washington assieme alle scarpe da corsa, sia mai che… ma ho troppa paura per riprovarci: il dolore ha lasciato un segno interiore chiamato terrore e preferisco non sfidare troppo la sorte e passeggiare. Ehi, aspetta un attimo! È più di un’ora che passeggio! Sto camminando! E non ho male! Non è che..? Cerco di zittire quella voce interiore e mi dico che è troppo presto, non posso ancora tornare a correre. Ma non c’è verso, sento puzza di endorfine: il parco, il laghetto, una miriade di altri runners, il sole fino a tardi, è così bello che non può farmi male!
(Lezione #4: pensa positivo, sempre!)
E così il mattino dopo prendo coraggio, allaccio le scarpe, e via! Molto cauta, manco corressi sulle uova, un passo dietro l’altro, cercando di rieducare il mio corpo e bilanciare bene la parte destra con quella sinistra. Tento i primi 3km e non mi sembra vero. Torno in hotel e faccio il check-up: ginocchio? ok. caviglia? ok. bacino? ok. inguine? ok. coscia? ok. Incredula e non convinta, rifaccio: ginocchio? ok. caviglia? ok. bacino? ok. inguine? ok. coscia? ok.
Un sorriso enorme mi attraversa il viso. Vuoi vedere che è andata, che sono sopravvissuta a un altro infortunio e piano piano posso ricominciare? Vuoi vedere che, ancora una volta, il corpo ce l’ha fatta e mi ha regalato l’ultima di una serie di lezioni: a meno di disastri irreparabili, il corpo recupera. Sempre. E anche se una scuola di pensiero dice che siamo fatti per correre, secondo me sarebbe più accurato dire che siamo fatti per correre, cadere, e rimetterci in piedi.