Questa è la storia di una gloria italiana che vinse senza vincere, che venne ricordato per non aver vinto sulla strada (almeno una volta, quella volta) ma che vinse nei cuori della gente e di una regina.
Non è una favola, ed è una storia italiana.
Il sacro fuoco
Dorando Pietri nacque nel 1885. Quando il padre aprì un negozio di frutta e verdura a Carpi tutta la famiglia vi si trasferì. Dorando incominciò presto a lavorare come garzone in una pasticceria e, finito il lavoro, amava già correre, a piedi o in bici.
Si dice che il fuoco della competizione si accese in lui quando nel 1904 gareggiò a Carpi il mitico Pericle Pagliani. Dorando lo vide e non si trattenne: gli corse dietro e lo affiancò fino al traguardo.
L’anno dopo gareggiava già in competizioni internazionali come la 30 km di Parigi che vinse con un distacco di 6 minuti. In Italia vinse nei 5000 metri ai Campionati italiani stabilendo il primato nazionale di 16’27”2 e nei 20 km. Divenne presto un imbattibile mezzofondista capace di spaziare dai 5000 sino alla maratona: si qualificò per le Olimpiadi di Atene vincendo la maratona in 2h48’ ma fu costretto a ritirarsi per problemi intestinali alla gara ufficiale quando aveva già un vantaggio di 5 minuti.
Nonostante fosse di bassa statura, Dorando poteva ormai coprire ogni distanza. E vincere su ogni distanza.
E venne il 1908
Dorando si preparò con grande determinazione alle Olimpiadi della rivincita. Doveva riprendersi quel titolo che gli era sfuggito 4 anni prima ad Atene. Poche settimane prima di partire per Londra vinse la maratona di Carpi: 40 km coperti in 2 ore e 38 minuti. Nessun italiano fino ad allora era stato così veloce.
Quella del 24 luglio a Londra non fu una maratona qualsiasi, a partire dalla lunghezza: per la prima volta si disputò sui 42.195 metri, distanza che divenne da quel giorno quella ufficiale della maratona (e lo è tutt’oggi). Ma anche il caldo era eccezionale per una città solitamente abituata a temperature più miti. La gara ebbe inizio alle 14.33. Dorando corse la prima metà nelle retrovie, cercando di conservare le energie. Poi iniziò ad accelerare. Rimontò sulla maggior parte degli altri 55 maratoneti fino a portarsi al 32° km a 4 minuti dal primo, il sudafricano Charles Hefferon. E continuò, costruendo minuziosamente una rimonta che al 39° km lo portò in testa alla gara davanti al sudafricano ormai in crisi. Il traguardo era ormai a poche centinaia di metri, la vittoria era là che lo attendeva ma il caldo eccessivo e le energie ormai esauste chiesero il conto: Dorando sbagliò strada e cadde. Si rialzò e si avviò verso lo stadio dove lo attendevano 75.000 spettatori osannanti. Cadde ancora una volta, e ancora e ancora e ancora. A 200 metri dall’arrivo non era più in grado di proseguire e venne aiutato da un medico e da un giudice a tagliare il traguardo. Il tempo segnava 2h54’46”.
Dalla sconfitta al trionfo
L’americano Johnny Hayes, giunto secondo, fece ricorso e la giuria gli assegnò la vittoria. Eppure la determinazione dell’italiano aveva talmente colpito la regina Alessandra che gli fece dono di una coppa di argento dorata. Lo scrittore Arthur Conan Doyle, che copriva per il Daily Mail quell’evento così straordinario, fu altrettanto affascinato da quell’esempio di determinazione che propose di raccogliere del denaro perché Pietri potesse aprire una panetteria e raccolse così 200 sterline. Una sconfitta si trasformò grazie alla forza di volontà e all’esempio di un uomo indomito in un trionfo.
Il professionismo
Dorando continuò a correre per altri 4 anni, fino al 1911, vincendo quasi tutte le gare a cui partecipò. Erano gli anni in cui l’aristocrazia capitalista americana si appassionò alle competizioni sportive estreme e la maratona era di certo una di queste. Nel 1908 Pietri sfidò Hayes al Madison Square Garden di New York di fronte a 20.000 spettatori, gran parte dei quali italo-americani. Corsero uno contro l’altro completando i 262 giri di campo pari alla distanza della maratona e negli ultimi 500 metri Dorando passò al comando e trionfò, nel giubilo di una folla impazzita.
Aveva chiuso un conto col passato e aveva nel frattempo accumulato una fortuna smisurata per il tempo. A meno di 30 anni si ritirò dalle competizioni con un capitale che gli permise di aprire un hotel.
Negli affari non fu così capace come nella corsa, anzi: l’hotel fallì presto e Dorando aprì un’autorimessa a Sanremo, dove morì per infarto nel 1942 a soli 56 anni.
A Carpi è ancora custodita quella coppa che gli donò la regina Alessandra, a memoria dell’epica impresa di quell’italiano che fu tradito dalla sua forza ma che vinse con la sua determinazione.
L’illustrazione di copertina è di Davide Carli, Nelle sue parole:
“Il mito della sua sconfitta e della sfortuna che per quasi tutta la vita lo hanno contraddistinto è racchiuso nella singolare medaglia che impugna, una medaglia d’argento fatta come un biscotto, a significare quella vittoria “mangiata” che lo ha perseguitato.
La frase “Why always me?” è tratta da quel tormentone che lo stesso Balotelli ha qualche tempo fa utilizzato contro i media che gli davano addosso, e in qualche maniera è indicata anche nel caso di questo campione del passato.
Ma nonostante la sfortuna il suo viso rimane impassibile, forte e austero come quello di chi ha sempre tenuto la testa alta.”
(Puoi vedere altri lavori di Davide Carli qui)