Mi sono sempre chiesta, se mai avessi avuto dei figli in vita mia, cosa gli avrei raccontato di me.
O meglio, cosa pensavo gli avrei voluto raccontare di me, a parte che un lontano giorno di tanti anni fa li avevo partoriti in una notte buia e tempestosa, mentre fuori…
Poi ho realizzato una grande verità.
Non ho figli e per ora all’orizzonte non se ne vedono. Amen.
Quindi poco male, ve lo racconterò a voi. A differenza loro, potete sempre cliccare sulla crocetta in alto a destra del vostro browser o peggio ancora, digitare nella barra di navigazione www.un-qualsiasi-altro-sito.it. In questo caso siete delle persone cattive, ma vi va bene perché ormai è Natale, e siamo tutti più buoni e Papa Francesco, l’anno Santo e la misericordia evabbeh. Il solito complottismo natalizio.
Insomma dicevamo di cosa avrei raccontato. Probabilmente riflettendoci un attimo, quello che racconto più o meno a tutti, in maniera abbastanza prolissa ed esagitata, ovvero della corsa e dintorni.
Probabilmente racconterei degli episodi salienti, o di quelli che si raccontano più facilmente perché così sai già prevedere – parare – schivare – sfruttare ogni possibile reazione (ormai dopo 4 anni che mi succede è un po’ così, true story).
Gli direi che mi alzo presto e corro molto spesso perché mi piace farlo. Che mi piace correre da sola ma anche in compagnia. Che adoro avere una tabella da seguire per sapere cosa devo fare, invece di esserlo io a decidere – perché a me l’unica cosa che mi piace decidere è dove mi portano le mie gambe. Tutto il resto è noia e preferisco farmelo dire da qualcun altro.
E poi gli direi di quella volta in cui ho corso la prima volta la maratona a Roma, e alla partenza non smettevo di commuovermi sotto ar Colosseo. Il perché, ancora non l’ho capito. O forse sì.
Oppure di quando dopo la maratona di Firenze sono stata sotto custodia cautelare del water per 48 ore. Mai fidarsi dei venticelli di Novembre, in tutti i sensi.
O ancora di quando dopo la maratona di Valencia mi sono scolata a piombo due lattine di birra poco dopo il traguardo. Ma poi non ho ruttato e ho solo riso molto facendomi tantissime foto tipo Conquistadores spagnolo con lattina e medaglia alzate – per me stavano sullo stesso livello di valore.
Infine gli direi di quella volta in cui a Boston ho fermato il cronometro a 200 metri dall’arrivo e ho pensato “fanculo al tempo!” per accollarmi una ragazza che proprio in formissima non era. Di come l’ho trascinata al traguardo dicendole chissà che menate in inglese e di quanto quell’esperienza abbia un po’ cambiato il mio modo di vivere la corsa.
Ma soprattutto di come tutto ciò, mi farà raccontare una storia ancora più grande: quella di avere l’onore di essere tedofora per le Olimpiadi di Rio 2016. E non in un posto a caso, ma a San Paolo.
Ogni tanto quando mi fermo davanti allo specchio mi guardo.
Io?
Cioè, dico proprio io porterò quella fiamma lì?
Quella che accenderà i Giochi Olimpici…? Naaaah, dai.
Invece sì.
Io. Una qualunque runner sulla faccia della terra.
Mi sento onorata.
Investita di responsabilità.
Mi sudano le mani.
Maledizione, penso che NON mi dovranno sudare proprio per niente quel giorno, e mi sudano ancora di più (per fortuna mancano ancora solo duecentodiciotogiornienonsonotesaperniente)
E non smetto di pensare a quanto la corsa ti può portare lontano, come nient’altro ti può portare.
“Mamma” (!)… sei davvero super!!!
ehhhh troppo buona Enza! :)
Super Anne!sei sempre tu!troppo bello sentirti raccontare..sei trascinante!ti seguiremo a distanza!
Grazie! Porterò ognuno di voi con me! Seguro! :)
<3 vi porto tutti con me!