A noi runner si sa, piace un certo tipo di gergo “tecnico”. Un po’ perché a volte siamo pavoncelli, diciamocelo. E ci piace farci vedere “in da thing”.
E poi perché dopo un po’ che corriamo inseguendo tempi e traguardi, ci viene la voglia di alzare l’asticella, richiedendoci di diventare più tecnici. Così anche io, da quando corro, devo dire che ho imparato un sacco di parole nuove: fartlek, progressioni, allunghi …
Di tutto l’ampio e variopinto gergo, ci sono 3 parole che ho faticato davvero ad imparare e a ricordare cosa volessero dire, direi da sempre: PB, BPM e Pacer.
WHAAAT?!
Rido moltissimo se penso che riesco tuttora a dire (e a scrivere) Supercalifragilistichespiralidoso senza errori (giuro che l’ho battuto alla prima giusto) e invece a tutte le volte che ho scazzato queste 3 parole…
Sostanzialmente BPM (Battiti per Minuto) con IBM – che immagino sappiate cos’è e sì, vi confermo che fino a non troppo tempo fa creavo sgomento in alcune conversazioni tra runner buttando all’improvviso in scena computer e affini senza un reale motivo (ed effettivamente ora realizzo perché poi i runner che parlavano con me con tanto interesse, cambiavano rapidamente argomento). E poi “PB” (Personal Best, il miglior tempo personale): è incredibilmente il soprannome di una mia cara amica, che da sempre per noi è PiBi, che sta per Paola. In Romagna diamo molto spazio alla creatività con nomi e soprannomi così riusciamo più facilmente a schivare consonanti poco amiche (tipo “esse” “zeta” “ci””…. Sentitevi Cevoli che fa l’assessore e capirete). Infine il mitico Pacer che per alcuni mesi, inclusi quelli in cui feci il mio miglior tempo in maratona inseguendone uno, ho sempre chiamato “peacer” – in linea con una filosofia più anni ’70 della corsa. Peace & Love.
Lascio il compito oneroso di scrittura del “Dizionario del perfetto runner” a qualcuno più bravo di me, tipo i regaz Martino e Sandro, che sono bravizzimi in questo. Io volevo solo condividere con voi come queste 3 parole da poco si sono combinate tra di loro, regalandomi probabilmente una delle esperienze più belle della mia vita di runner.
Qualche domenica fa infatti ho corso per la prima volta in vita mia come “Pacer”, fumando canne e andando in giro cantando con la chitarra Let it be (sto scherzando).
Dicevo, 2 settimane fa circa ho accompagnato un nutrito gruppo di runner a tagliare il traguardo dei 10km in 55’ alla Deejay Ten. Non solo mi sono divertita a correre (notare che per fare la pacer sono andata ad un ritmo super comodo, quindi i miei amici BPM erano tenuti bassini, altrimenti probabilmente schiattavo proprio lì, tra il pavè e le traversine dei tram di Milano), ma anche ad urlare come una matta, applaudire come se non ci fosse un domani e portare “all’obiettivo” chi aveva deciso di sopportare il nostro chiasso.
Beh, ho tirato fuori il meglio di me. Il meglio di quanto probabilmente metto nelle gare. E rimanere lì, ad incitare ad uno ad uno tutti coloro che arrivavano, non ha fatto altro che portarmi inevitabilmente a commuovermi dietro gli occhiali da sole (oh cristo questa iper-sensibilità da ultra 30enne mi ucciderà, lo so).
Oltre a volermi dichiarare malata sul lavoro il giorno dopo per le estremità degli arti invalide – mani blu, con falangi prossime al distaccamento per il troppo applaudire, tendinite all’indice sinistro causa trasporto bottiglie d’acqua per runner assetati durante la corsa e infine, voce usata impropriamente a decibel proibiti e lasciata tra corso Venezia e Parco Sempione – non potevo che camminare due metri sopra al cielo. Sentivo di aver passato quel traguardo almeno 25.000 volte … e finalmente ho ben chiaro per cosa stanno PB, BPM e PACER. Un po’ come “sole, cuore, amore”