Lo ricordo come fosse ieri.
Lo ricordo volentieri perché amo la pioggia.
Era uno di quei giorni nei quali devi assolutamente fare un scelta.
Tornare a letto e inghiottire o smuoverti e urlare la tua rabbia e il tuo dolore.
Per molti giorni ho scelto di tornare a letto e inghiottire, continuare a dormire nella speranza che la giornata passasse velocemente. Dormire e non agire. Trascorrere sveglia il minor tempo possibile per non parlare, non piangere e non pensare.
Ma quella mattina la mia anima urlava il mio dolore, il mio odio. Quella mattina di Aprile non potevo tornare a letto.
“Vado a correre” dissi a mio marito che dormiva… Non so se mi ha risposto, non ricordo se si è svegliato.
Ricordo solo che presi le mie scarpe da ginnastica che usavo anni prima per giocare a pallavolo, indossai qualche cosa per coprirmi e uscii.
Volevo sfogarmi, urlare, piangere e fare. Volevo ricominciare a vivere, riflettere e capire se potevo salvarmi o se ero da buttare.
Ricordo il fiato corto, ricordo il dolore alla milza.
Ricordo le lacrime che si mischiavano alla pioggia che cadeva. Non so quanto ho fatto, non mi ricordo fin dove sono arrivata.
Ricordo che ho urlato, ho pianto e finalmente ho riso. Ho fatto una risata sana. Se potevo stare così dopo una corsa, se potevo ancora ridere forse non ero da buttare. Forse qualche cosa ancora si poteva salvare…E adesso sono qui.
Mi trovo a raccontare la mia storia, che poi è solo un’insieme di sensazioni, di forse, di ricordi. Una corsa in trance. Una corsa che se non avessi deciso di fare… forse sarei stata da buttare.
Invece ora corro, con gli amici o da sola, quando voglio, su terreni difficili o faccio gare ad ostacoli nel fango dalle quali esco con lividi. Ma soprattutto ora sorrido. Se posso fare questo al mio corpo, grazie alla mia mente, non sono da buttare. Ora la mia mente ne è convinta.
Lo ricordo volentieri perché amo la pioggia.
Era uno di quei giorni nei quali devi assolutamente fare un scelta.
Tornare a letto e inghiottire o smuoverti e urlare la tua rabbia e il tuo dolore.
Per molti giorni ho scelto di tornare a letto e inghiottire, continuare a dormire nella speranza che la giornata passasse velocemente. Dormire e non agire. Trascorrere sveglia il minor tempo possibile per non parlare, non piangere e non pensare.
Ma quella mattina la mia anima urlava il mio dolore, il mio odio. Quella mattina di Aprile non potevo tornare a letto.
“Vado a correre” dissi a mio marito che dormiva… Non so se mi ha risposto, non ricordo se si è svegliato.
Ricordo solo che presi le mie scarpe da ginnastica che usavo anni prima per giocare a pallavolo, indossai qualche cosa per coprirmi e uscii.
Volevo sfogarmi, urlare, piangere e fare. Volevo ricominciare a vivere, riflettere e capire se potevo salvarmi o se ero da buttare.
Ricordo il fiato corto, ricordo il dolore alla milza.
Ricordo le lacrime che si mischiavano alla pioggia che cadeva. Non so quanto ho fatto, non mi ricordo fin dove sono arrivata.
Ricordo che ho urlato, ho pianto e finalmente ho riso. Ho fatto una risata sana. Se potevo stare così dopo una corsa, se potevo ancora ridere forse non ero da buttare. Forse qualche cosa ancora si poteva salvare…E adesso sono qui.
Mi trovo a raccontare la mia storia, che poi è solo un’insieme di sensazioni, di forse, di ricordi. Una corsa in trance. Una corsa che se non avessi deciso di fare… forse sarei stata da buttare.
Invece ora corro, con gli amici o da sola, quando voglio, su terreni difficili o faccio gare ad ostacoli nel fango dalle quali esco con lividi. Ma soprattutto ora sorrido. Se posso fare questo al mio corpo, grazie alla mia mente, non sono da buttare. Ora la mia mente ne è convinta.
Fabiola