Se gli ultimi sono i primi

Ci sono volte in cui tener il tempo mentre corro è un casino. Intendo tracciare le corse.
Ultimamente poi, da quando la pubalgia è diventata la mia migliore amica, l’insofferenza al crono è andata decisamente degenerando.
Ero abituata a fare allenamenti precisi. Tabelle che magari limavo all’occorrenza. Lap battuti nervosamente con il polpastrello come a sfondare lo schermo dell’orologio.
Praticamente ora il solo pensiero di mettermi l’orologio per vedere dare un ritmo alla mia sofferenza (a volte) o scandire le mie bevi corsette mi dà un po d’ansia.

C’è sempre un senso

Penso che alla fine la vita, il destino, dio, (insomma, vedeteci un po’ chi vi pare nel ruolo del regista) organizzi tutto molto bene per riportarti sulla giusta strada, o perlomeno per dare un senso alle cose che ti succedono e riuscire a leggerle diversamente.
Domenica scorsa partecipavo a una 10km. Il percorso era davvero veloce e avrei potuto anche buttarla lì e provarci. Al massimo avrei ritrovato un pochino di dolorante motivazione o tuttalpiù mi sarei potuta dare la mazzata definitiva con cui costringermi seriamente a un riposo forzato. Non ero sola a correre, con me c’era un bel gruppetto di ragazze motivate. Molto motivate. Okay, decisamente più motivate di me a battere il loro record sui 10km.

Alcune erano allenate, altre così così e alcune forse non lo erano per correre quella distanza. Però c’era una cosa fantastica in ognuna di loro: anche se non ne avevano i mezzi, non mettevano il dubbio il fatto di potercela fare.
Vista la mia parziale inutilità motivazionale e la poca volontà di portarmi a casa qualcosa di buono, ho deciso che forse per la prima volta in vita mia avrei potuto mettere a disposizione quelle 2 leve che mi ritrovo in dotazione per qualcun altro. E incluso nell’offerta viene inevitabilmente inclusa la mia (ahimè) incapacità a tacere per più di 2 minuti.

10 ragazze, alcune con passi simili ma non tutte ovviamente con lo stesso passo. La decisione non era facile, ma mi è apparsa subito chiara: gli ultimi saranno i primi, visto che sta cosa me la sento dire da parecchio, praticamente da quando sono nata, ma visto che mi sta decisamente sulle palle il fatto che non la vedo mai avverarsi, et voilà: il mio posto è con la ragazza dal passo più lento.
Dettaglio importante: non ho mai fatto da pacer in vita mia e non mi sono mai ritrovata a correre più di 6km ad un passo più lento del mio lento.

Partiamo

La corsa inizia con l’euforia e le raccomandazioni del caso: “No ma se vuoi andare vai” e “Guarda spero solo di arrivare in fondo”.
Ok, ma adesso non pensiamoci.
Ci acclimatiamo tra i tanti runner. Ascoltiamo i nostri respiri. Ovviamente io non posso continuare ad ascoltare per così tanto il mio respiro senza parlare. Inizio a conoscere la mia compagna di corsa.
Continuiamo a percorrere vialoni e a svoltare angoli ottocenteschi.
Divago in non so bene quale conversazione. A volte credo che il mio cervello potrebbe parlare a se stesso per parecchie ore senza rendersi conto delle cazzate che spara. Mi rendo conto che non è sanissimo.
In vista del 5km vengo avvisata da colei che mi affianca che deve bere e che non sa cosa succederà dopo il 5km.
Ma come non lo sa? Io lo so. So che continuerà a correre. Mi trovo a spiegarle quello che probabilmente è il suo muro “psicologico”, come quello che si affronta in maratona.
Nel frattempo si raggiunge continua a correre, aumentando pure il ritmo. Da 7’28” a 6’36”.

7 km: “credo che forse mi devo fermare, sento il fiato così così…” “Ma vah figurati dai, guarda come sei ancora sciolta”
8km. 9km. Fino a qui tutto okay. Si vedono runner più veloci passare nella strada parallela in direzione opposta alla nostra e sullo sfondo davanti a loro l’arco di arrivo.
“Ehi dai, cacchio ci siamo! Svoltiamo e secondo me facciamo così e cosà e ci troviamo davanti l’arrivo”.
Ammetto che quella frase dopo il 9km l’ho ripetuta credo 3 volte. Alla quarta volta che la dico mi viene gentilmente fatto notare dall’incredula runner che lo sto dicendo ormai da 5 minuti, come sto dicendo che “mancano 8 minuti”.

“Okay, okay. Scusa ma mica te l’ho detto che ho un senso dell’orientamento di merda?” (Ragazzi, non ho mai detto di eccellere nell’orienteering alle medie, anzi mai messa in squadra)
A 9km e 300metri sorge lo spettro del: “Scusa Anne ma credo di dover camminare”.
“Coooooosaaaaa?!”. Mostro la distanza percorsa sull’app e la liquido con un barocco: “Non esiste proprio”.
Finalmente svoltiamo quel “famoso” angolo. Ultimi 200 metri.
“Toglitela la soddisfazione di sorpassare ‘sti chiattoni!” (scusate ma a volte ci vuole qualcosa di molto motivazionale e violento). La prendo per mano.

Acceleriamo.
Mi supera.

Chissà cosa le stavano dicendo le sue gambe, tipo: “pazza, sei completamente pazza!”

Quella pazza ha passato il traguardo con uno stomaco un po’ a pezzi e un’espressione che si è trasformata da un misto di panico e dolore a un enorme sorriso chiuso da un “Ce l’ho fatta, ho migliorato il mio personale, ce l’ho fatta!”.
Mentre la mia gamba sinistra si lamentava un po’ imballata dalla corsa a un ritmo diverso dal solito e la mia mano controllava “il tempo” medio, la mia pubalgia taceva ammirando l’onore e la bellezza di poter accompagnare qualcun altro a prendersi il suo traguardo.

Gli ultimi saranno i primi. A volte succede.

(Photo credits from Flickr by Kevin Dooley)

 

PUBBLICATO IL:

Altri articoli come questo

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.