Quando corro imparo. Tutti i giorni, sempre. Che l’uscita sia fruttuosa o che sia un fallimento. In 17 mesi di corsa corpo e cervello mi hanno insegnato più cose che nei 30 anni precedenti. Mentivo a me stessa: non sono un animale da divano. Eppure poco più di un anno fa ne avevo la certezza assoluta: io non sono tagliata per la corsa. Non mi passava neanche per l’anticamera del cervello. E invece…
Ce la potevo fare, ma non lo sapevo.
La corsa mi ha insegnato chi sono, a sopportare il dolore fisico, a essere indipendente e più organizzata. (Il tempo per fare qualcosa che si ama e ci fa sentire bene lo si trova sempre. Se invece cercate delle scuse leggete qui). La sensazione è identica al momento in cui l’asticella del salto in alto è alzata un pochino, di più, sempre di più. Impercettibilmente, ogni giorno, impari a spostare i tuoi limiti un pochino in là. Se mi avessero detto che un giorno sarei uscita volentieri senza trucco, in pantaloni tecnici attillati, avrei detto: “no, non fa per me”.
Ho imparato da sola. Quando ho corso per la prima volta c’ero solo io con le mie debolezze. (C’era la tribù “virtuale” dei Runlovers, naturalmente).
I miei limiti li toccavo con mano. In genere, con la mia musica preferita, correvo per circa cinque minuti. Poi mollavo, esausta, arrabbiata e senza fiducia.
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Ogni volta che esco a correre, oggi, non riesco a pentirmene.
Non si torna più indietro.
(Photo Credits Brett Jordan – Origami by Roman Diaz and Daniel Naranjo)
hai ragione: non si torna più indietro. Si punta solo a migliorarsi.