E’ il suono secco del cinque che si danno Valeria (che abbiamo intervistato) e Emma, quando ormai medaglia e piazzamento di prestigio sono assicurati, a dare concretezza al pensiero che liquido si aggira nella mia testa da oltre due ore, mentre sono incollato a uno schermo minuscolo dove passano le immagini della maratona mondiale di Mosca 2013, con Franco Bragagna che gracchia dagli altoparlanti: tutti possiamo realizzare l’inimmaginabile.
Tutte e due non sono più giovanissime e tutte e due hanno dovuto fare i conti con malattie gravi, una condizione che sospende la normalità rubando tutte le energie e non lasciando spazio per nient’altro se non il pensiero fissi su stessi, spesso di autocommiserazione. Loro la normalità l’hanno sospesa, è vero, ma solo perché diventasse uno straordinario cammino verso un traguardo impossibile: prima sopravvivere e poi fermare i cronometri sui tempi delle più forti del mondo.
Ci hanno fatto passare due ore e mezza a contorcerci sulla sedia, perché Valeria Straneo si è messa là davanti con la faccia cattiva di chi sa quello che sta facendo a mettere in fila etiopi e kenyane, mentre tutti dubitavano che quel passo feroce sarebbe stato sostenibile fino alla fine. Perchè dietro Emma Quaglia iniziava male, intruppata nel gruppo dando vita a un recupero entusiasmante in corso d’opera, quando era già data per spacciata.
E poi sul traguardo, battuta dalla potenza della campionessa in carica contrapposta al suo passo fluido, Valeria raggiante che non pensava di ottenere un risultato del genere, che si era resa conto solo al 35esimo chilometro di essere lei la lepre della gara, che interrompeva la sua stessa intervista urlando “la Emmina!!! come sono contenta!”, con la sua compagna di squadra che ad agguantare un sesto posto che vale la vittoria.
Sono queste giornate a restituirci il senso vero dello sport, attraverso il quale ciascuno di noi può riscattarsi dagli errori, dalle sfortune e persino dalle tragedie che la vita casualmente gli ha buttato addosso. E il fatto che siano state due donne a darci una lezione così importante dà ancora più valore all’impresa, perché ci ricorda la banalità e lo squallore dei pregudizi verso questa o quella categoria di persone.
(Foto: Colombo/FIDAL)
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