È sempre difficile salutare qualcuno quando lo si fa per l’ultima volta. Quando poi lo si vede partire vengono alla mente mille cose che si sarebbero volute dire ma, li per li, presi dall’emozione non sono venute.
È difficile in particolar modo salutare una leggenda come Pietro Mennea. Se non altro perchè, veloce com’era, basta distrarsi un attimo che è già lontano e non c’è più tempo per aggiungere qualcosa.
La freccia del Sud
Pietro Mennea nacque nel 1952 a Barletta che si trova in Puglia, non esattamente un’isola dei caraibi da dove provengono tutti i più forti sprinter moderni.
Fin fa piccolo si capiva che c’era qualcosa di speciale. La leggenda narra che sfidasse le auto lungo le strade della città in uno sprint sui 50 metri. Se il piccolo Pietro avesse vinto la gara avrebbe avuto in premio 500 lire, i soldi che gli servivano per andare al cinema. Non serve essere stati testimoni oculari per immaginare che, con questo sistema, deve essersi visto un bel po’ di film.
L’ultimo velocista bianco
Crescendo, Mennea, cambiò avversari. Non più le macchine ma atleti in carne ed ossa, come lui. Gli appuntamenti importanti cui prese parte ed il suo palmares sono impressionanti ma sono due gli eventi che lo resero immortale. 1979 Città del Messico e 1980 Mosca.
Olimpiadi di Mosca 1980
Partiamo dall’episodio più recente. E’ il 1980 e a Mosca vanno in scena le olimpiadi. Pietro Mennea è in finale nella sua specialità, i 200 metri piani. Viene effettuato il sorteggio che assegna le corsie e a lui tocca la corsia numero 8, la peggiore. L’olimpiade di Mosca è nota per il boicottaggio da parte degli atleti statunitensi ma, in quella finale, i più forti c’erano. C’era il britannico Welles, il giamaicano Quarrie, detentore del titolo olimpico, e poi c’era lui.
La partenza, come al suo solito è lenta. Viene subito sopravanzato dai rivali e, passata la curva, quando 100 metri se ne sono andati e ne restano altri 100, Mennea sembra irrimediabilmente troppo lontano dai primi. Ma qui comincia a mulinare le gambe ad un ritmo indiavolato e si lancia con una forza incredibile ad inseguire i primi e recupera. Recupera. Recupera. Recupera.
Recupera fin sulla linea del traguardo dove si tuffa e batte proprio Welles di soli due centesimi.
E’ medaglia d’oro.
Universiadi di Città del Messico 1979
Il secondo episodio che va citato è di un anno prima. Mennea, che studiava Scienze Politiche, potè prendere parte alle Universiadi di Città del Messico. Era indubbiamente il più forte nella specialità e infatti vinse. Non poteva però immaginare che quella gara lo avrebbe trasformato in una leggenda.
Mennea, infatti, stabilì il record del mondo: i 200 metri in 19 secondi e 72. Un record destinato a rimanere nella storia.
Quel 19 e 72, infatti, reggerà agli assalti dei migliori interpreti della specialità per ben 17 anni.
Ed era bello, negli anni seguenti, quando Mennea già non correva più, assistere alle gare e, per una volta, tifare contro. Non tanto contro gli atleti ma contro il cronometro. Quel 19 e 72 era un nostro orgoglio, qualcosa che ci tenevamo stretto e, più il tempo passava, più cresceva la speranza che nessuno sarebbe mai riuscito a batterlo.
Quel 19 e 72 resistette caparbio fino al 1996 quando Michael Johnson, prototipo del velocista moderno, riuscì a farlo cadere.
Un saluto
Ci sarebbero tante altre cose di cui parlare. Come il fatto che Mennea si laureò per ben quattro volte. O il suo impegno in politica o ancora la sua attività di avvocato.
Ma noi siamo RunLovers e qui si parla di corsa e quindi ci fermiamo qui. Salutiamo un grande atleta che ci ha fatto sognare e ci ha resi orgogliosi.
Orgogliosi come di quel 19 e 72 del quale, pur non avendone alcun merito, ci potevamo vantare con chiunque non fosse italiano.
Grazie per questa preziosa opera di ricordo e riscoperta di un grande uomo prima ancora che grande campione (ed è stato un grandissimo campione…).
Non so per quale cortocircuito sinaptico, da quando lo vidi per la prima volta ho sempre associato la finale dei 200 m a Mosca ad una famosa scena di Forrest Gump, quella in cui Forrest, inseguito dai bulli su un camion, si libera dalle incastellature che lo imprigionano e incomincia finalmente a volare con la sua corsa…
Il Mennea che appare battuto ai 100 m e rimonta in quella maniera fantastica (con la voce straziata di Paolo Rosi che accompagna quell’incredibile impresa, i brividi al solo ricordarla!) rientra in pieno nel campo del racconto epico, altro che Hollywood…
Non stabilì solo un record incredibile ma diede a un’intera nazione l’orgoglio e la passione, ma facendolo in una maniera particolare: all’esatto opposto dell’abitudine italica basata sulla furbizia, ci insegnò che niente di grandioso è ottenuto senza sforzi continui, costanti e grandissimi.